canti sociali |
franchini - racconti |
canti sociali
la cifra dell'onore
la cifra è un punto un ricamo lettere sulla biancheria
di raffinati estimatori di sé o una lettera scarlatta
la cifra è il canone che ci diamo la cifra è il canone che ci danno
la cifra della nostro onore la cifra del nostro orgoglio sociale
la cifra di un discorso inutile
se il nostro avversario è più scaltro perché maneggia il potere da tempo
e ci accorgiamo che siamo senza truppe sufficienti se siamo stati sprovveduti
non chiari o addirittura selettivi nel ritenere preventivamente inutile parlare
se non diamo né concediamo fiducia a possibili sostenitori o forse simpatizzanti
se riteniamo la vittoria scontata e ci affrettiamo a metterci stellette inutili
l’unica strategia possibile è quella di misurarsi ancora e ancora e poi ancora
cercando di contrapporre la ragione al falso d’autore
ancora ancora ancora servirà domani.
napoli
luogo dell’anima nascosta pulsante
che attira come una fantasia sfrenata
come un peccato che aspetta di essere
confessato assolto e ancora ripensato
particelle tutte insieme filosofia e poesia
dietro l’edicola sulla panchina
per allontanarsi dal frastuono
mentre africani cinesi indiani
con carrelli o cartoni con sorrisi stanchi e furbi
spostano la loro mercanzia
un passa parola immediato li trasforma
in soldatini che rompono le fila disertando
verso i quartieri spagnoli o verso la marina
mentre passa l’autorità della luce a intermittenza
solo gli artisti di strada restano garantiti
da squarci di riflessioni culturali
al quale si concedono a cappello
sono di variegato genere
di tamburi assordanti per una tarantolata
di suonatori dell’est per palati raffinati
di ragazze con solida educazione
che si sono perdute nelle ribellioni
tra strade senza segnali
i nostrani in questa spietata concorrenza
si arrangiano e spesso si organizzano
nei modi di sensibilità rare nel primo pomeriggio
o a mattinata inoltrata una piccola matinèe
con tanto di soprano e tenore graditi a turisti e cittadini
per le arie del loro repertorio
qualcuna ti propone poesie ben confezionate
scritte con grafia minuta e corredate da nastrino
qualcun altro offre di sorteggiare la fortuna
alla stazione il maquillage della ristrutturazione
non sfugge il degrado per una umanità dolente
emarginata e stanziale fuori sulla piazza
poco importa se ha di cosmopolita solo miseria
i turisti si riconoscono dall’aria circospetta
pronti a cercare gli anticipi di moda
di borse borselli cinture orologi e scarpe
campionario di tutto al rettifilo
gli stranieri fanno percorsi sicuri e obbligati
costiera musei isole pompei
tra un percorso e l’altro fotografano un must
sempre attuale l’immondizia
il sole qui sembra appaltato per sconfiggere i turbamenti
le autorità riunite nei consessi recitano un copione
recitato da attori estemporanei ammessi sulla scena
repliche di cartellone come a Broadway
mentre ragazzi giocano a calcio senza maglia
e cantori senza note corrono corrono corrono
un peccato che ci intenerisce e ci assolve
napoli.
300 euro
mi aggiro per le aule del tribunale
parlo con una collega
ha una espressione tirata
nascosta da un rossetto troppo secco
una restaurazione veloce allo specchio
poco tempo per truccarsi davvero ci si maschera
siamo in attesa come fuori una sala parto
ma non siamo noi le partorienti
attendiamo guardando altri sguardi smarriti
ci salutano di cenni sintetici
qualcuno si allontana dopo aver sentito le risultanze
di un travaglio avvenuto altrove
tra cavilli e codicilli la sentenza liquida trecento euro
si allontanano in gruppo i contendenti
con sorrisi nascosti nelle capienti borse
con sarcasmi indifferenziati a perdere
le parole sono alla mercé come moccoli allineati
mi distraggo e mi perdo poi torno a due soli pensieri
un se o un ma dilatati all’infinito
“è una eccezione” disse il condannato
“è una rivolta” rispose il boia
quale è la fede “la mia” rispose l’infedele
l’ho scritto da qualche parte
mi distraggo nella parola potente
assordante invincibile che si fa diritto
che scivola nel tessuto sociale
come sangue malsano trasfuso
un respiro fetido di infetti.
il mostro
un sospiro di sollievo
il mostro è stato assicurato alla giustizia
le carte possono tornare nel rigore dei cassetti
e nel chiuso della parola
pronunciata fino alla prossima volta
puntate di una tragedia o di una romanza popolare
di un banchetto dove commentatori bivaccano
sulla scena del crimine manipolata
da partecipanti volontari e comparse involontarie
da guardoni incredibili che lavorano come pornografari
si assembla la luce migliore
per il miglior mostro possibile
forse nascondendo verità rischiose
più della galera o della condanna innocua
e le motivazioni vengono scritte man mano
in un’orgia di necessità opaca
di ricreare scenari mai esplorati
da una intelligenza investigativa risoluta
con domande e fantasie che cercano riscontri
che esigono risposte rigorose
la realtà è ovvia si dice o complessa piuttosto
come una montagna tortuosa e rischiosa
di pensieri innocenti che diventano ossessioni
di mamme sapiscenti che rischiano
illusioni e poi doppi dolori
di fidanzati indolenti che pagano un bacio
sgranato dai ricordi
di padri infamati arrivati alla soglia
del dolore sordo che ti uccide
la realtà è complessa come una puttana
che seconda e intuisce oscure inclinazioni
un’ultima strada percorsa tra siepi
leggere e il niente insidioso
il mostro non è dietro l’angolo è ormai tra noi
tra confidenze di incontri schermati
tra amori traditi che ti esplodono dentro
tra le verità che si cantano come un perdono
tra indifferenze a segnali e negazioni
anche se il fuoco divampa senza orazioni
la complessità non è assicurata
da sintomi confezionati da prove inesplorate
o da confessioni di seconda mano come riciclati
la verità deve essere indagata non inventata
non può essere il mostro che è in noi da cacciare.
i padri
i padri degli ideali muoiono
stanno morendo o presto o tardi moriranno
quelli che hanno seguito a testa fiera
bandiere e funerali di uomini retti
fischiettando inni di rivoluzioni e speranze
che si libravano tra case e palazzi
che sostavano nelle coscienze di tutte le marce
senza imbarazzi senza cedimenti senza incertezze
una mappa universale i padri
che non hanno speculato
che non hanno violentato coscienze
che non hanno chiesto prebende
hanno avuto uteri dove pensavano
di fermentare libertà e di inseminare umanità
la molteplicità del pensiero si fa sogno
si fa orgoglio si scioglie alle essenze
quando la ricchezza sta nella imperfezione
nella riflessione nel dolore della creazione
quei padri quei padri
stanno morendo o presto o tardi moriranno.
lezione d'amore sul tram linea 1
salgono in gruppo spintonandosi sono in cinque
si siedono scompostamente in ordine sparso
le cartelle tra i piedi o gettate sui sedili liberi
un peso riposto fino al giorno a venire
un disagio serpeggia tra i viaggiatori
continuo la lettura nonostante le occhiate
che mi lancia il mio compagno di viaggio
i suoi occhi sibilano ordini
mi invitano ad alzarmi alla prima occasione
mi invitano a mettere distanze di sicurezza blindata
il più grassottello del gruppo mi si siede di fianco
-signora, cosa state leggendo?
-è un autore che si chiama …
rispondo allungandogli il frontespizio perché possa leggerlo
-e… di cosa parla questo libro signora?
-parla dell’amore
un coro di sghignazzi dei compagni
-su internet scopavano
-quando si scopa?
-lo chiediamo alla professoressa
dico -questo libro non parla di questo modo d’amore
mi chiede -di quale amore parla?
-dell’amore che provi
per la nonna per la zia per il gatto di casa
per un tramonto sul mare o per una gita sulla spiaggia
esigono i compagni –ma quando si scopa?
il mio vicino intima –statti zitto scemo!
si allontana senza saperlo dalla volontà collettiva
che si insinua ed esplode in cieca volontà di gruppo
annulla codici annienta la coscienza soggettiva
mi alzo mi avvicino all’uscita saluto
ho mentito sull’autore un misogeno che crede le donne
astute e sempre vincenti sull’uomo
con tecniche distruttive della loro natura sensuale
auguro buona vita ma in rigoroso silenzio.
clandestini al sistema
perché sono qui
esposta pubblicamente in un riquadro senza storia?
non ho voluto aggiungerle
loro devono raccogliere una esigenza
dovuta allo stato delle cose ineludibile.
al fogliame che sconvolge il nostro esistente privato
una pulsione antica di isolare blandire
per finte soluzioni di facciata
molte ne prendono le distanze forse a ragione
pure è una urgenza far sentire
un punto di vista un peso una voce
oggi rimane ancora un dovere
diversità rispetto alle omologazioni di massa
creatività versi progetti
scontrati con una chiusura a riccio
devi essere accettata sgrezzata
qualcuno ti deve dare la patente di cittadinanza
senza considerarti clandestina al sistema
senza voce allora l’obbiettivo è fallito
inutile qualsivoglia iniziativa
marchiata di inutilità strutturale
le voci si affacciano sul mediterraneo
bambine e donne in un sistema isolante.
alla posta
mi avvio di buon’ora
un vecchietto distribuisce numeri scritti
su cartoncini ricavati da qualche scatola vecchia
chiede al nuovo arrivato quale operazione debba fare
mentre passeggiano occhi inquietanti
e sono appartati vecchi pensionati indifesi
non so se offra i suoi servigi per un caffè
una folla sparsa sembra fiduciosa all’apertura
convinti tutti secondo l’ordine di arrivo
“allontanatevi dal cancello!” si comincia a urlare
arrampicati l’un l’altro come dovessero scavalcarlo
c’è preoccupazione qualcuno si allontana
calcolando che l’apertura opererà come una ruspa
tra le spinte una donna alta e grassa rassicura
“manterrò io l’ordine di ingresso, sono della sanità!”
con il tono di una dichiarazione gendarmica
due sembrano ragni spiaccicati come in sortilegio
un altro passeggia claudicante
mi allontano ma un signore mi scruta
come volesse farmi l’oroscopo
ha le tasche del vestito sporche di colore
immagino sia un pittore mi vuole offrire un caffè
misterioso si professa indovino
ma un giovanotto si avvicina “avvocà … comme state?”
la macchina dei numeri è presa d’assalto
mani nervose premono premono i pulsanti
il claudicante si affaccia sulle spalle di una ragazza
lei protesta ma lui ribatte “sei troppo corta”
la macchinetta non funziona “lo fanno apposta!”
mi tengo appartata dalla ressa
un uomo mingherlino si china verso il pavimento
afferra la sflilza di numeri in sequenza
che la macchinetta ha già sputato
si allontana lasciandosi dietro il vociare convulso
nessuno se ne accorge la folla guarda altrove
mi avvicino e gli chiedo un numero
mi ritrovo un dieci lui tiene l’uno
mentre continuano spinte e imprecazioni
la folla vuole la rappresentazione non la rivoluzione
è la “mappata d’o bbene e d’o male”.
privacy
barelle con malati esposti
ai pubblici sguardi dei visitatori
avventori estemporanei
e sanitari che passano e ripassano
confondendo la morte
per uno stremato appisolamento temporaneo
quando un malato di polmonite
viene abbandonato alla vista di una finestra aperta
basterebbe un solo paravento
da spostare letto per letto
per morire protetti da occhi indecenti
ma a morire di cronaca si scatena il diritto
di sapere se hai avuto amanti
o platonici desideri di madre esemplare
o sadica prevaricatrice pettinata in quel modo
o hai vissuto ignara di una esposizione morbosa
del tuo essere vissuta e morta
percorrendo codici segreti di dolori
e nei corridoi degli ospedali non c’è silenzio
non c’è silenzio nei passi di medici e inquirenti.
non volevo
non volevo partecipare per sconforto
siamo ancora al nulla e il peggio è
forse il massimo cui si possa aspirare
dobbiamo combattere più battaglie
demansionate sottopagate sottovalutate
o disprezzate o emarginate o socialmente logorate
dobbiamo combattere per equivalenze
sociali e di carriera e giustizia sociale
dobbiamo combattere per impedire
che ci mettano catrame sulle ali
senza immagini patinate
obbligatoriamente giovani
avvenenti morbide profumate
scardinando miti e il patriarcato
nemico inesorabile di trappole sociali
senza percezione comune o solidali
trasformate in cattive e competitive
programmate per compiacere uomini
e attaccare le donne oggi prigioniere
con la cella aperta ci vuole libertà
immaginazione creatività coraggio
una volontà sfrenata sugli obbiettivi
accogliendo una visione diversificata
della maternità e paternità dell’amore
e perché no della rabbia
senza desiderare la morte dell’altro
mentre ogni due giorni e mezzo
una donna è uccisa.
pasqualino lo storpio
si nascondono in panni sociali
camuffati immacolati orientati
a combattere nefandezze e avidità
odiosi più dei delinquenti
distinti da una spanna di banconote
in una società fatta di poveri assistiti
somministrati vessati merce da omologare
e pasqualino lo storpio
viveva di espedienti in un basso
con donne ciclicamente diverse
mescolando figli e figlie
prese un coltellaccio dalla cucina
voleva scannare l’autista
prima ancora di capire se fosse viva o morta
la figlia investita dal camion
attraversando di corsa la strada
solo lui poteva ammazzare di botte
mogli e figli in una epoca buia
dove il bianco e il nero erano nitidi
sapevano di vita di bucato o di porcile.
sdraiati e derivati
mi porto addosso una invalidità temporanea
che mi fa pensare a quelli afflitti da handicap permanenti
quelli che subiscono le angherie dei pre-potenti sani
quelli della professione più vecchia del mondo
quella che promette e non mantiene quella che ignora
quella che ha esigenze di lavacri nascosti
tra proposte elettorali dal sapore amaro come una medicina
dentiere per tutti e cataratte gratis
ma il contorno di gocce e profilassi è un salasso
per i poveri che sono un affare sociale
come i compra oro rivolti a chi ha venduto i ricordi più cari
no! non hanno aspettato non hanno aspettato
che diventassero cadaveri per estrarre l’oro dei denti
“non possiamo fare assistenza agli invalidi” intanto
la reclame è tutta sui letti a rete sollevabili
e scale mobili e sostituzioni di belle vasche
con docce cellette e il manico per non cadere
con seduta incorporata per far passare
il tempo alle nonne uno stiratoio da seduta
piccole rate per carità inserite
tra batterie nuove di zecca e poltroncine sollevabil
i soldi sono come le uova che devono essere fresche
devono sostituire quelle marce possedute da comuni
regioni banche fondazioni fortini assicurativi
vari enti con in pancia uova derivate
soldi malati che non si possono spendere
e per questo non ci sono a dispetto dei malati
andate e comprate non vi lamentate
non moltiplicatevi e se possibile lavatevi
i soldi sono un buon detersivo
il successo un buon deodorante
figurarsi la realtà sdraiata.
schiavo
non ha avuto il modo di comunicare
i segnali di un io denudato
una guerra combattutta in un involucro
di plastica che credeva visibile
comunicata percepita certificata
così è diventato irriverente
verso la responsabilità negata
consegnandosi a un dopo tragico irreversibile
e poi la vita da decifrare e srotolare
come un papiro impietoso estraneo
il dolore è suo mentre mente al mondo
per poter vivere fino al punto estremo
di morire collettivamente senza appello
con l’efficienza carnivora di schiavo
pronto a perdere il controllo e deflagrare.
signori ... biglietti
-siamo appena saliti hai capito?-
invasato l’uomo gesticola scegliendo l’attacco
-vai a vedere i neri stanno lì!
e se la ridono pure andate a prenderli -
-io ho la pensione che è già finita
e non sappiamo che mangiare-
grida e gesticola l’anziana
ha i capelli color fuliggine
-io ero appena salito- ripete iroso l’uomo
replicando la stessa sceneggiatura
davanti ad ogni nuovo passeggero
che partecipa coralmente al testo
e che salendo timbra prontamente
e racconta le proprie traversie
mostra biglietti di un’ora e quello orario
-ho già dato alla collettività
con questo una sola corsa
quest’altro è ora inutile-
il controllore si gira intorno si allontana a caccia
annusa una nuova preda una donna nera
sembra una maschera africana
ma non ha davanti a se Braque
non gode degli impulsi d’arte
di un Derain o Brancusi
curiosi di una prospettiva altra
effervescenze primordiali e sintesi
magie di luoghi lontani e rassicuranti
la donna alta e allampanata è scossa
ripete inutilmente la sua litania barcollando
non è sintesi formale e magica di una cultura
qui è la rappresentazione di una malattia
il suo occhio spento è infezione non è di Picasso
fissato su una tela furiosa di spezie e colori
è lo sguardo torbido e umido che passa e ripassa
come le onde sui rifiuti sballottolandoli alla deriva
-io non ho documenti non ho fatto colazione
lasciami stare devo raggiungere mio fratello -
implacabile il controllore la tiene saldamente
non si sa se per aiutarla o trattenerla
scendono nel trambusto assolato della stazione
la folla è distratta è nelle viscere di un altro quadro
un signore passa pericolosamente tra due tram
-meno male poteva morire! –
-meno male che stavolta non è morto! -
una sera
nel ventre di un quartiere popolare
vibrante umido sembra una bolla opalescente
il ponte sospeso lì in alto
dà l’impressione di una città sepolta
macerie polverose e pulsanti di suoni
mentre le luci si smorzano
l’ombra della sera veste la piazza
come un mantello bagnato
la luna già alta sembra indecisa
tra le pietre della montagna e il mare
cibarie di ogni gusto e polli che pendono
un cane con padrone al guinzaglio
si destreggia tra cumuli di sporcizia
all’angolo luci e riflettori di uno store
per partite ricariche slot e vizi e giochi
una umanità che muore con il silenziatore
che esplode nella tastiera o in un gesto insano
la pizzeria all’angolo sembra trasbordare all’esterno
come il pizzaiolo accaldato
dal forno che ammicca alla sera
sull’aiuola senza verde si attarda un piccione
gli altri dormono vicini
come legati sotto i cornicioni
tra scorze di arance si capisce
la vita che verrà nella notte
popolata di uomini e donne
alla deriva senza canti di uccelli
sul muretto che limita l’aiuola
una donna le braccia lungo i fianchi
le gambe allungate
e larghe su una taglia possente
la carne si indovina traslocata dallo scheletro
è circondata da borse di stracci
una espressione di beatitudine stampata sul volto
sembra una balena spiaggiata
nella notte ormai sicura
si vede il lungo rivolo del mare
lì sul selciato.
sogni e segni
sogni e segni si rincorrono ognuno a suo modo
costringendo a un fare una promessa inevitabile o inutile
un ragazzino che ricordo catturare le lucertole
in campagna una abilità sorprendente
una canna da pesca con una piccola lenza
costruita alla meno peggio abile cinico adorante
diceva di amare le lucertole per questo le catturava
immobilizzava squartava con una piccola lama
alla rinfusa o forse chissà con crudele maestria
toglieva qualcosa intestino e ricuciva con ago e filo
è stato un salumiere felice e un brav’uomo pare
la vita è ermetica è un lecca lecca mancato
o un bacio mancato o una giostra mancata
o una carezza o un incoraggiamento
che ti fa costruire una fabbrica o ti trasforma
per la ricerca di un piccolo desiderio
che rimane incistato da qualche parte
incuneato nella pelle incastonato
come una perla rara negli occhi e ti rende
la vita una lunga attesa di una lacrima di autentica
sorpresa o di dolore bruciante che ti sopravvive
un grande dolore rutilante nel lusso che non appaga
o un piccolo grande uomo che non lascia tracce
se non narrato amato ricordato
adoro cogliere parole sensi promesse
non è curiosità è ascoltare il vento masticare
portava una pinguedine irrisolta e uno zainetto
cavalcava una bici, come un cavallo
domato con maestria allineato a un compagno
di viaggio e di sudore che lo guardava distogliendo
lo sguardo dal percorso come chi ha sapienza
e ti dona il tempo che serve a spiegarsi
-ieri riflettevo che, a ben pensare, in ogni cosa
possiamo cogliere un senso, una magia -
mi ha intenerito madre ero in quel momento
la madre fuggevole e ignota quella
di ognuno forte e dolce e benedicente
che sogna per un figlio sconosciuto
che non tradisce che non accartoccia che non ri- piega
una magia che non tradisce che mantiene tutte le promesse.
una bellezza perfetta
la massa vuole la bellezza
la vuole per sé la pretende negli altri
perché vuole sognare adorare
vuole somigliare vuole riconoscere
una superiorità deificata
viene riconosciuta apprezzata adorata
nei personaggi pubblici deve bucare
penetrare arrivare illuminare come una visione
alla commessa chiedo se è sicura
che non ci sia piombo
in quel rossetto dal costo di tre euro
- controlliamo la composizione se c’è
ci sarà scritto sicuramente-
la bellezza impazza e si ricicla
vende e svende senza controlli
le profumerie note ora vendono
anche prodotti ignoti
e ti accolgono come banchieri
che cercano di piazzare sul mercato i derivati
una volta offrivano “campioncini prova”
in numero esagerato se avevi obbedito
al colore del mercato dell’ultimo
fard o riempi labbra o gel avveniristico
un monodose per un contorno occhi
senza l’uso della carta aurea
sicurezza dell’ordine del benessere
ultimo ordine spirituale della perduta innocenza
la bellezza come terra promessa
si organizza e alza l’asticella
c’è sempre un miraggio che deve
essere rapido ed efficace
si leggono moderni oracoli
“l’unione di principi attivi rari e pregiati
come caviale ostriche seta e fito-endorfine
risultati straordinari principi purissimi
e di qualità altissima con risultati
visibili con un solo trattamento”
con prezzi competitivi onesti
pacchetto corpo 300 anzicchè 390
ma è assicurata la riattivazione del deflusso
la bellezza è costosa esclusiva
raffinata impudente seducente
comunicativa evocativa irraggiungibile
una” remise en forme” impeccabile
come una ripristinata democrazia
dopo intervento delle truppe ONU.
perchè son sempre mi!
si nascondono in distinte spoglie
sembrano cabarettisti o piazzisti
pronti a cambiare abito di scena.
un’altra commedia una nuova strategia.
sono sguinzagliati sono variegati,
sono ammacchiati o sguaiati
sono boriosi e chiedono pizzi
sono pelosi perché si infilano
sono generosi e non costa niente
elemosinieri del capriccio
hanno nozioni di psicologia
hanno rudimenti di psichiatria
hanno nozioni di sociologia
perché la cultura rende affidabili
entrano in contatto casuale
poi passano all’azione dopo averti spaesato
sono irreali ma un tantino eventuali
hanno etichette nella saccoccia
cambiano verso a più non posso
-sei l’omino del sombrero?-
mi hai preso in consegna
un ostaggio ingombrante e pensante
da passare da una banda a l’altra.
un piazzista bugiardo un infido omino
-perché son sempre mi ! -
cambia maschere regole e trame scritte.
la comunità ha un altro custode
una investitura promettente
si nasconde è sotto traccia striscia
frantuma la realtà sussurra urla
detta ordini ordini irrituali
uccide brandendo quattro ossa
quattro ossa da passare in lavanderia
strizzate e sbiancate di parole
con una nuova etichetta
ripulite di tracce umane
il tempo non dirà più di quale morte
il morto è morto
ma è morto si vede dalle ossa.
utero orizontale
strade laterali che attraversano
la grande arteria per andare
in un luogo impreciso
un portoncino e poi un altro uguale
sulla facciata un foglio di carta
legato per un solo lembo
con un logoro pezzo di scotck
sul citofono nessun indizio
un luogo apparentemente disabitato
programmo le prossime ore
ma la scritta è a pochi passi
sul muro scrostato la osservo
sbiadita come lavata da lacrime
è circoscritta chiusa in un segno
oblungo come un utero orizzontale
la stessa matita dalla punta sottile
una confessione una denuncia
-12 11 2005 mio fratello
me l’hanno violentato
perciò sono per strada-
l’ingorgo emotivo si scorge sembra
-mi hanno violentato-
o
-mio fratello è stato violentato-
o
-il mio sé interiore è stato violentato
ed era come se fosse mio fratello-
quella matita si è spezzata
sopraffatta vinta nella urgenza
di gemere in solitudine e insieme
urlare una offesa uno sfregio
una ingiustizia sofferenze che restano
il tempo di una corrosione nascosta
scritta con sangue lavato e innocente
allora avrà smesso di avere una casa
un fratello un padre una madre
amici confessori maestri o idoli
o compagni di viaggio
avrà smesso di sentire
il suo potere nei confronti del mondo
nei confronti di se stesso
dieci anni da quella scritta
dieci anni una vita forse una non vita
forse vissuta tra spasmi emotivi
incattiviti e acidi un reflusso
senza speranza irrigidito in pareti
nascoste e solitarie nella sorte
di quel grido sommesso anonimo
dolorante di un altro uomo alla deriva
un essere costretto a indietreggiare
oltre sino a un burrone.
la parola di mezzo
la parola
quella sfregiata e sprezzante
la parola che uccide o nasconde
la parola di parte quella parte
o l’altra parte messa a pupazzo
confezionata impagliata
la parola che collassa su se stessa
perversa senza identità
passa l’idea che utilizzando
un linguaggio forte si evochi
l’entità verità a un tavolo sgangherato
dove qualcuno si alza minaccioso
frustrato in situazioni esplosive
una folla attonita ascolta
perde il controllo delle idee
esplode lasciando affiorare
fumi tossici dalla terra
primitivi e irrazionali
che la parola aveva patteggiato
temeraria e bruciante
in un vociare che si perde nei secoli
non c’è spazio la menzogna annienta
gli accattoni dell’ascolto abbandonati
la domanda è attenta
é oculata e parsimoniosa
la parola è gratuita sprezzante
la domanda è disciplina
non azzarda e non spreca
la domanda non ha profitto
la domanda ha dei doveri
non si può consegnare ad essa
la risata irriverente della parola.
vedi come starnazza impazzita
un atteggiarsi senza rimorsi
attraversa il mondo
una verità spietata
in una strada lunga di secoli
è più facile perdersi
la realtà si frantuma
in mille rivoli vecchi e nuovi
non serve la bussola per orientarsi
in una verità inesauribile
che si rinnova e marcisce e pecca
senza pronunciare parole
non colpisce l’uomo che non si scusa
ma la donna che non esige
con grazia o fermezza
con dolore o ribellione
con modestia o con grazia
e la verità riprende forme diverse e antiche
tutte noi streghe che una volta bruciavano
ora sono decapitate bambine
infibulate usate abusate
contenitori corrieri di droga e poi ancora
adescate e commercializzate
come supporti masturbatori di sterili desideri
tra posta del cuore e smania di essere à la page
il mercato subdolo fantastica
un pollaio inconsapevole e inerme
e lievitano nuovi dolori stipati in naftalina
dissolvendo capacità e potere
sostituiti con leggerezze e distrazioni
dove un uomo qualsiasi
in un posto qualsiasi del mondo
trasforma una donna
in gallina per mozzarle la testa
e poi dire:
- vedi vedi come starnazza impazzita?-
donne e dirittialismo
si torna all’antico alla moralità che prude
ieri sotto le tonache oggi sotto le toghe
recitano clemenze e non trovandole per la vittima
le coniugano confezionate e adescanti
un bel nastro ubriaco incosciente nascosto e deliziato
si sa le fantasie sono sfrenate segrete e inconfessabili
eliminiamo ogni riferimento non esistono i cristi che si ammazzano
non esistono programmi dove si racconti
raccontare è pericoloso le emozioni sono esplosive
i fatti sono tuonanti sono bombe sganciate a occhi chiusi
portare testimonianze lettere fatti raccontare il vero
lasciare che arrossiscano gli esecutori diligenti di destini
lettere dal fronte un bambino scriveva
-abbiamo sentito tuonare
un ordine bestiale io ero nascosto-
basta una femmina che è rimasta nella testa
troppo audace per essere innocente
troppo libera per essere una musa
una rimozione dove la consuetudine gioca la partita
vincendo sulla conquista annullandola senza convalidarla.
l’immaginazione dell’orrido sonnecchia in ogni uomo
esplode in tempo di guerra quando le donne sono bottino
asservite alla gerarchia usate per sfregiare il nemico
sgozzate oltraggiate umiliate poi rifiutate
per il frutto dell’odio senza nome inoculato
nella storia di eroine e di sante c’è un uomo
che fugge che schernisce che giudica che può giustiziare
giustiziando i propri fantasmi torturatori
l’uomo non perde né crudeltà né arbitrio
basta una femmina rimasta nella testa
troppo audace per essere una vittima
troppo disorientata per essere credibile
è proprio quella femmina rimasta nella testa
che agisce arma la mano avvelena e giudica
lo stupro continua nelle parole nel peso delle parole
nei sottesi delle parole conformiste e aziendali
ma ti occorgi che la gente non vuole sapere
al massimo si attizza a cose fatte
delitti brutture stupri ruberie la fantasia si mette in moto
la pornografia del possibile la indecenza di scrutare
la indecenza di giudicare è un altro sport inventato
come una scoperta culturale come il pittorialismo
io lo chiamo dirittialismo
sfocata sbarazzata ipotesi del diritto.
caro amico ti scrivo ... poi mi distendo un po ’
le rimozioni sociali funzionano
in tirannia e in tempo di pace illusoria.
il silenzio statistico o la devianza informativa
i suicidi in carcere triplicati
luoghi di redenzione e di ripristino di regole
non luoghi torturatori di dissidenti
né luoghi di regolamenti o aggiustamenti
per la gente dabbene è un non problema
una devianza informativa
-io sono qua tu stai bene là
lontano invisibile in attesa-
un prodotto del sistema
da sfruttare nei talk o nei convegni
sui diritti umani un gioco di società
chi non entra nelle statistiche appartiene
al sistema di silenzio statistico
ci sono i suicidi da riporto i refusi di stampa
non catalogabili destinati all’archivio immediato
ma l’istat non classificai i suicidi annui
determinati dalla crisi quelli del suicidio economico
della disfatta personale
della perdita dell’identità
della sconfitta sociale
i padri indigenti quelli che hanno perso il lavoro
la vedova senza sopravvivenza
il pensionato abbandonato dai parenti
i morosi incolpevoli
no i suicidi non lasciano tracce evidenti
non scrivono alla stato e per conoscenza all’istat
non scrivono tantomeno ai parenti
loro già sanno sarebbero destinatari inutili
prima del lungo tempo di morire
c’è la forza di combattere di protestare
di chiedere e di sperare
c’è una molla che ti impegna una corda
che risuona un gesto di fiducia spontaneo
ti aspetti che il direttore ti chiami
che l’amico sia sincero che i controlli funzionino
che una decisione arrivi puntuale
che qualcuno si ravveda
che la giustizia sia certa che il mondo non sia
il profitto l’ipocrisia l’indifferenza che conosci
se non sei morto ancora
nonostante il disordine autoimmunitario
che ti abita da quando è arrivato
il messaggero biochimico famoso soppressore
delle funzioni felici del tuo essere vivente
ora si è accasato alle emozioni negative
che avviano processi da catena di montaggio
che innescano le tue norepinefrine
perché ti sei nutrito uno schifo
hai sofferto hai pensato male ti sei logorato
hai passato informazioni negative
ai tuoi meravigliosi sistemi nervoso e sanguigno
e la produzione di endorfine si è ridotta a zero
allora o sarai morto di crepacuore
o ti sarai procurato un cancro
-siamo spiacenti non entri in alcuna statistica-
arriva il silenzio che non è il luogo
dove non ci sono parole
ma quello dove è inutile pronunciarle
dove non puoi trovare la forza di scrivere
al direttore all’amico allo stato per conoscenza all’istat
caro amico ti scrivo … poi mi distendo un po’.
il lavoro è finito ... andate in pace
il corpo sociale giovane quello che vive
di prospettive di scelte di dimensioni affettive di progetti
quando non ha o perde il lavoro
muore ogni giorno
senza la possibilità di elaborare lutti
senza poter tenere a bada la disperazione
la paura della porta chiusa o che si chiude definitivamente
senza speranza di poterne uscire
assecondando rinnovamento e rinascita
progetti di famiglia prospettive di realizzarsi
una generazione ormai estranea a se stessa
perché abbandonata senza futuro
quando la memoria è corta
le leggi promulgate continuano a non reggere
le gravità di fatti per i quali il controllo
la prevenzione la buona volontà
sarebbero sufficienti ma non se ne rinviene traccia
preferendo andare allo sfascio nutrendosi di cadaveri
mentre la funzione legislativa
è nelle mani dei nemici del popolo
e la funzione giudiziaria è senza vigore nelle decisioni
una sospensione che non è esemplare
le leggi nascono già burocratizzate
per preparare una società di esclusi e sfruttati
e te ne accorgi
quando non ci sono fondi per gli usurati
né posti per i disoccupati né case per gli sfrattati
e il tempo tiranneggia la consapevolezza
di doversi donare alla vita mentre
si vive come scarti psichici della famiglia
perdendo la percezione del proprio stare al mondo
forse per ricevere l’onore di cronaca di un funerale
nella indifferenza generale nella comunicazione
spettacolare nella ipocrisia istituzionale
alla società non interessa
la versione esatta della storia
ci sarà il tempo di raccontarla mercificata
e a buon mercato.
camorra e camorria
per strada la cronaca diventa percepita
la puoi temere quando
un uomo riparte con il motorino
sfiorandoti ma poteva anche ucciderti
la sua espressione sarebbe stata la stessa
quella del vuoto dell’ isolamento della incomunicanza.
i bambini giocano al pallone
sai che devi proteggerti da quello
che ti punta come la porta avversaria
cammini non passeggi
gli anziani indifesi gli ammalati schiaffeggiati
camorria conserteria di alterazione
di fatti manipolati ad arte da uomini e istituzioni
pratica antica da spodestare
con parole caustiche da usare
sommersa sotto traccia è la calunnia
di chi si serve del potere
orientandolo a proprio favore
è il gusto dell’affermazione “io sono io…”
di colletti non certo immacolati
ma orlati di grigio insomma sporchi molto sporchi
è uno stato d’animo di chi deve
vigilare e cammina cieco
di chi deve agire e finge di essere
nel mondo dei giusti dalla parte
giusta puntando il dito
e intanto è attore regista sceneggiatore
tecnico e perfino doppiatore di tutte
le parti di una sola assurda commedia
dove la camorra è orrore
è orrore sociale è orrore morale è orrore storico
colpa della indolenza finche del sole o della luna
la camorra è nelle lacrime
ai funerali di innocenti bersagli
nella chemio di uomini donne bambini
avvelenati sacrificati al profitto
negli occhi spenti dei camorriati
che scoprono che il futuro è
nella sopravvivenza del giorno dopo
quando il camorrista beneficia
di consessi di uomini indifendibili
ricercatori e inoculatori di sopruso
camorria la nuova patologia virale
senza vaccino da estirpare
prima che diventi endemica
oggi l’illegalità attende che ti arrenda.
macellerie del vero
non è l’informazione libera
accessibile fruibile a produrre progresso
coscienza e conoscenza non sono
al servizio della verità dell’affermazione
che dovrebbe rinviare ad un ulteriore vero
più vero di quello che si assume vero
la parola in questo contesto diventa
concettualmente filtrata perde di integrità
di vigore rincorre altre oscure finalità
assumendo un carattere pubblico di
un mondo di immagini ipnagogiche
può essere un insulto sputato mille volte
tollerato e replicato all’infinito
perché mille volte percepito finchè
la coscienza non viene addomesticata
finchè si veste da ostentazione poi
oppressione poi abuso poi strumento di morte
questi strumenti operano portano mani
insanguinate di parole scomposte sventrate
parole che negli scritti nella mimica
nella dinamica sociale nelle aule di giustizia
ammucchiano il giusto e l’ingiusto giuridico
e le chiacchiere e il vago e il corretto
corretto inteso come un caffè
una folla gesticolante seleziona recita e replica
in una trasmissione di omicidi si posizionano
colpevolisti e innocentisti
in un traffico di parole spermatiche
curando che il pubblico debba raggiungere
un momento di allucinazione visiva
la tecnica di comunicazione
che intossica opacizza e impera
un pericolo di ingerenze informative
ovvero il ricorrere ad inganni
per portare a termine operazioni offensive
per produrre lucro a favore di gruppi
o trarre vantaggi in proprio
aumentare pesi politici o distruggere
per costruire nuove carriere
comunicazioni capaci di influenzare
di orientare giudizi di alimentare
di avallare comportamenti teppistici
in modalità collettive financo
alterando e distruggendo la compagine
culturale di una intera comunità
i segnali impercettibili soffusi
aleggiano come innocui pulviscoli
ma hanno infestato il tuo vissuto
sei morta.
mamma cassazione
da te si ricorre per l’ultima appellazione
l’ultimo tempo per una severa ragione
ma spaesante ti ammanti di rigore
sei una mamma pretenziosa alquanto
la logica per te non è costituzione
operi su sanzioni ultima spiaggia
e assesti schiaffi di punizione
persino incoerente ad altre spiegazioni
lo so che stilemi ti hanno sfiancata
così qualche volta travisi le intenzioni
se muore il diritto te ne fai una ragione
mamma cassazione se qualche figlio
è diventato un prestigiatore
poi si è mostrato un mascalzone
tu hai sbagliato educazione
ne hai fatto un uomo di vento
in fondo un razzista indolente
parli più lingue e puoi dire un “già”
ma ogni tanto un “forse” ci sta
fa tanta illuminata creatività
quando sbagli temi i saccenti
quelli che sorridono ai tuoi adagi
e ci scrivono sopra di rovescio
non a caso puoi almeno evitare
di agevolare uno “strascino penitenziale”
chiamala pure commedia dell’arte
ma troppo tempo per decisionare
a volte proprio arzigogolare
qualche figlio scemo
non redarguito diventa arrogante
altera decime di motivi
con la mano morta dà l’estrema unzione
mentre affabula le sue ragioni
e qualcuno viene poi disarcionato
in nome della legge perfino beffeggiato.
corruzione
la corruzione sia democrazia
una giostra sulle vite e nelle vite si fermerà
forse tra il cigolare delle catene e piano piano
si ri-comporranno i contorni visivi
i nomi dei giostrai ricchi e analfabeti
scompariranno nelle piccole cronache paesane
ma ora in nome del terrore bombardano
donne e bambini e uomini e vecchi e malati
salvatori con un tozzo di pane
per poi trasformarli in nuovi consumatori
mercato e guerra vanno a braccetto
per il mondialismo dei mazzettari
un nuovo ordine attende un universo sonnecchioso e felice
mentre il terrore arriva dalla curve delle coste
o dalle piazze infette o dai quartieri dormitorio
il mare rosseggiava i barbari iniziano le esecuzioni
armati di simboli terrificanti
ma subito anche nuovi commerci nuove credenze
nuove stoffe nuove tecnologie nuovi poeti
e il linguaggio muta fino alla prossima paura
l’umanità attraversa un collo di bottiglia
stretto e impervio un buco sanguinolento
che viene giù come magma ignoto
di mercato di provvigioni
tra guerre preventive e urli di sacralità
si cerca il nemico di comodo
la circolazione rapida di capitali un click
le nuove metastasi corruttive
come atto di fede illuminata
con ricette conservate nei caveau
da tecnocrati di una nuova specie luciferina
in giro mai disoccupata mai oltraggiata
con l’inganno del controllo con le libertà ritirate
con la comunicazione oscurata
perché le malefatte restino segrete
perché la corruzione sia democrazia.
la madre che non sono stata
un figlio l’ho sognato e amato ed era tanto l’amore
che me lo sono negato per non sporcarlo
nella libertà del pensiero nel morso del rigore
ti avrei educato sensibile e disarmata preda delle emozioni
empatico amante della natura fedele alla sua stessa tirannia
poi corazzato alle intemperie all’inganno
alle apparenza che mentono alle ipocrisie che strisciano
forse saresti stata una bambina destinata a parlare
con la forza di un linguaggio diverso
tra esseri uguali a volte difficile da rispettare
mi avresti chiamata bugiarda quella che ti racconta
favole false di principesse e principi amorevoli
malati di amore speculare amante del tuo piede
la scarpina da far calzare in attesa dei calli che fanno male
la collera che esplode della promessa schiacciata
figlio! si contenderanno tutto di te parlandoti
mostrandoti il mondo come luogo di perdizione o di redenzione
e tutti ti vorranno adepto o devoto o anestetizzato
ho pensato a te ancora ieri l’altro
in una carrozzina un bimbo come avresti potuto essere tu
una mamma vigile attenta circondata da una aureola
di vigore di forza senza preghiere di fierezza
senza pieghe senza parole superflue parlava di te
di come eravate fortunati ad essere entrati
in un programma terapeutico finanziato
tu regalavi un tenue riscontro motorio
per un amore allo stato primordiale
le ho offerto il posto mi ha risposto strizzando l’occhio
-sono impegnata a guardare il gatto e il fritto-
si preparava a scendere e sistemava le vettovaglie
acqua minerale e una carezza
sei stato risparmiato da tribolazioni genetiche
da maestre sadiche da amici bulletti da sette sataniche
dal fascino dello sballo da imitazioni servili
scambiate per emulazione da preghiere scivolose
da servitù morali dal gusto del proibito dai pensieri laidi
da rituali macabri da contaminazioni sociali
ora sei adolescente sei armato di strumenti
cerchi risposte tieni strette le contraddizioni che semini
le verità che avanzano domande e timide risposte
vuoi sapere della società degli uomini dei pensatori
ti tengo nascosto il troppo amore ti lascio frollare crudo e lentamente
le notizie sono descritte negli orrori della cronaca
avresti letto abusi arroganza ambiente contaminato
banche truffaldine bilanci truccati
calcio svilito da accordi preventivi e finanche
di carmelitani scalzi il malaffare l’intrigo la truffa il vizio
avresti letto nero su bianco il tuo abc sarebbe stato
non il metodo globale ma la crudeltà globalizzata
un planetario snuff movie con sgozzamenti reali
e il marciume del profitto come regista
come avrei potuto proteggerti dai falsi idoli
dai falsi insegnanti dai falsi medici dai falsi santoni
dai politicanti in odore di mafiosità
temo saresti potuto soffocare con
il cappio dell’intransigenza.
nuovo anno 2016
il nuovo anno gioca d’anticipo
una manciata di secondi e guasta la festa
pare a cinque milioni di italiani e qualche addetto
ai messaggi in scorrimento in bella mostra
una perdita di controllo come tanti
e nel discorso di fine anno impera un sottile non detto
con la faccia di circostanza di chi pensa
-se vi rivelassi la verità morireste di paura-
e allora non restano che pallide ragioni elencate
che sfumano nelle parole con illusione di chiarezza
come le letterine a babbo natale in attesa dei doni
ma il nuovo anno marca ancora le differenze
chi aspettava il pagamento della misera pensione
dovrà aspettare per decreto tre giorni - in fila prego!-
la solitudine dei singoli è abiurata nel quotidiano
ritroviamo le necessità agli sportelli e le velleità ai bordelli
mentre il magma della storia propende per l’esatto contrario
che bello portare la follia di un sogno ad uno sportello
ma la politica si nutre di leve economiche effettua stime
un immenso carrozzone dedito a governare processi
a celebrare ricchezze ad oscurare argomenti vitali
a snaturare i fatti vicini per controllare il futuro
le previsioni servono per vendere al ribasso
perché tutto deve essere quantificabile
i buoni e i cattivi gli innocenti e i colpevoli
ma brindiamo al nuovo anno in attesa che passi
no non l’anno ma quel fastidioso dolorino
dovuto alla non eccellenza dello spumantino
mi ha consolato il messaggino che anche quest’anno
non è mancato: -grazie per il magnifico anno insieme-
no non era un ammiratore era l’operatore.
the storyteller (il venditore di inganni)
comunità processuale incontrollabile
senza verifiche procrastinabile all’infinito
la potenza della prova è abolita
sostituita dal pensiero narrativo
che oscura le ragioni che si sostituisce
e sovverte il pensiero scientifico
un monologo una attività monocorde
le domande rigettate con trapezismi
dal moderatore vittima di un cantastorie
uno storyteller un venditore di inganni
che racconta una domanda come pretesa
una selezione umana una categoria da respingere
uno storyteller un venditore di inganni
quando i fatti da negoziare sono violazione di diritti
e si attende che una richiesta venga vagliata
una istanza lavorata una conclusione
almeno ipotizzata in tempi opportuni
uno storyteller un venditore di inganni
per una accumulazione narrativa
alla ricerca della persuasione e del consenso
le lobby hanno terreno fertile
un battage pubblicitario un prodotto difensivo
da vendere come storia da raccontare
un fumetto da illustrare
forzando la mano senza scrupoli
senza misura usando persuasione
per manipolare alterare e finanche uccidere un diritto
lo storyteller il venditore di inganni
non costruisce un dossier elabora una trama
inappropriata mai cauta mai senza menzogne
e muore un diritto e anche tutti i diritti esigibili
quasi commercio con bilance truccate.
la follia degli uomini liberi
al manicomio di napoli deportarono filosofi artisti
ballerine una violinista un avvocato
al manicomio un ragazzo che amava i profumi
per correzione di una presunta devianza
una donna che morsicò un agente
mentre era in lite col marito ubriaco
una madre si rinchiuse per assistere due figli reclusi
un grande matematico ne entrava e ne usciva
per isolarsi volontariamente o per ordine del regime
lunghi corridoi grate alle finestre
vagavano sguardi muti in corpi che urlavano dentro
o masticavano parole sconnesse
o sputavano dolore e proteste scambiate per deliri
tra poveri oggetti quotidiani e i chiaroscuri indifferenti
urla di ordine sociale e poi urla di pratiche indecenti
silenziate nei documenti negli archivi nelle cartelle
risoluzioni mettendo nel conto il più debole
qui storie di vite spezzate si attorcigliano
da ogni fessura alita fredda crudeltà
poi vengono crocifissi ad un letto di torture
-legali subito!- urla qualcuno
-bombarda la loro vita!- urlano oggi i potenti
-costruisci barriere dove si perdano!-
e nelle trappole si perdono i grandi futuri
continuano in fila i deportati umani
per garantire la follia dei liberi.
conflitti distributivi
un termine tecnico che identifica
diversi livelli di conflittualità studiati
da sociologi filosofi e scienziati di varia
identità estrazione e militanza
nasconde una patologia sociale dove
i detentori di capitale le imprese padrone
intaccano minacciano il lavoro agiscono
indisturbati alla distribuzione delle risorse
alla mercificazione e svendita
un conflitto che toglie potere alle fasce deboli
mette in moto meccanismi di guerra
di violenza di prevaricazione di finanza sporca
di razzismo di potere di fame o
la perdita irrimediabile di diritti
con una giustizia cieca seduta
dalla parte sbagliata del tavolo giudiziario
protagonista cavillosa e implacabile
di un affaire sociale di un
conflitto distributivo trasferito nei tribunali
sino all’omicidio economico del lavoratore
quando una sentenza sul tavolo autoptico
svela che non sempre una ragione giuridica
è morta di morte naturale e l’ambiguità
della costruzione giudiziaria oscilla
come pendolo tra la noia e il dolore
tanto il diritto è un senza tetto
e nessuno ne reclamerà il corpo
o chiederà supplementi di indagini peritali
per stabilire se si sia applicato il buon senso
o l’arte della logica narrativa
o si è rimasti semplicemente incagliati
in evocazioni sceniche tra lavoro e capitale.
lettera D (come Donna)
la dominazione astratta del gruppo sociale
spietata e isolante spersonalizzazione
dovrebbe imporre a tutte una riflessione
se la massa si identifichi realmente con la vittima
o si concede e trae un brivido di piacere dal persecutore
violentatore molestatore aggressore di turno
santificando ogni giorno una nuova forma di violenza
quella collettiva cumulativa verbale orgiastica
sarà impossibile anche la definizione di nemico
per eliminare la violenza sulle donne
si dovrà estirpare come un dente malato
quella che gli è rimasta appiccicata nella testa
purificandone il pensiero martellante e pubblicitario
se verrà rispettata dalle leggi
con rigore di chi le fa e di chi ha il dovere di applicarle
non ci sarebbero opinioni sfigurate di inganni
anche per quella che nelle cronache si fa spesso carnefice
la verità abusata miete vittime e la donna protagonista di cronache
ne esce ancora e ogni giorno ancora una volta sconfitta
perché si neutralizzano le vittime esposte alle angherie e crudeltà
praticate in settori insospettabili di connubi affaristici
filiere di interessi nascosti cuscinetti ammortizzatori di potere
quando la violenza è patrimoniale o morale eccitata
dalle derisioni di compagni di merende fieri del ruolo di carnefici
-muori, la tua vita non vale niente!-
la ragazzina si è lanciata nel vuoto generoso di un secondo piano
la responsabilità da accertare deve essere rapida, solerte e sicura
i grandi non potevano non sapere intuire percepire dover agire.
la verità della violenza sulle donne non deve farsi suggestionare
non essere un lusso da femministe colte
o una questione puramente accademica con tante D
o una scusante per uomini facili alle lusinghe di minorenni
nel digitare la parola verità per me che ho problemi di vista
scrivevo veritò veritè beritù veritè
e ancora veritù e poi veritò e finalmente verotà
non è un gioco di parole forse è un rifiuto un reflusso acido della mente;
la veritò è sempre più sfumata condizionata usata
la festa della donna giunge a ponte di questo scritto
e forse ammorberà l’aria già ammorbata del flusso di fiori gialli.
è occasione per mettere un punto che non sarà mai pretesa
non per fingere là nel luogo dove siamo maestre di perdoni
di edificazioni di orgogli effimeri a volte anche ancheggianti
riflessione tanta tanta solitaria riflessione.
chiare, fresche e dolci acque
il pianeta boccheggia i governi sembrano ignorare
mille persone al giorno muoiono senz’acqua
donne versano gocce e gocce e gocce
per rendere fertile il deserto
mentre miliardari fanno collezionismo
di pregiate bottiglie di ghiacciai
e l’acqua pubblica viene mercificata
usata per arricchire famelici gruppi privati
che caricano di prebende le bollette
usando e abusando di un bene comune
anche sospendendone l’erogazione
un capitalismo rapace mercificazione sfacciata
acqua simbolo uno status symbol
le pregiate bottiglie da collezione
in edizioni limitate impreziosite da cristalli swarovshi
con il migliore involucro frutto di un sogno
elitario di creativi con firme prestigiose
possederle collezionarle disporne esibirle
fonti millenarie sparse sulla terra
tra foreste di faggi e ruscelli incontaminati
si colonizzano ai ricchi vendendone
le proprietà minerarie presenti sessanta composti
bisognerà ripensarla la democrazia
perché la terra sia un frutteto un campo di grano
per quei popoli affamati dal deserto
come tutti lo saremo per politiche scellerate
ma molti hanno curato per anni
un luogo sacro diventato arido
si chiama terrazze del monte carmelo
oggi giardino rigoglioso simbolo
di speranze di bellezza di pace.
Berta non c'è più
Berta credeva nella sacralità della natura
nella sua potenza nella sua bellezza nella sua magia
che non può essere profanata dalla mano rapace dell’uomo
Berta era attivista per i diritti del popolo Lenca
come accade in ogni luogo dove i diritti vengono annullati
dove bande criminali pascolano indisturbate
tra connivenze politiche e militari
la vita di Berta era minacciata lei era braccata
lontana volontariamente dalla famiglia
per proteggerla lei era tra le montagne
sacre e incontaminate ogni notte un cielo diverso
lei si teneva lontana era una lottatrice una luchadora
per i nativi per le coltivazioni per i pascoli per le loro case
Gualcarque era il loro fiume era la loro pesca era la dea madre fertile
la sua era una lotta esistenziale e politica per la vera giustizia
non quella che si intreccia inquina depreda ammazza selvaggiamente
così come selvaggiamente lei è stata uccisa
Berta era sola
era diventata scomoda era colei che aveva carisma
diceva che il fiume le avesse sussurrato
che avrebbe vinto la sua battaglia
il fiume sapeva i fiumi sanno
perché se è vero che gli eroi si uccidono a fucilate
nel frattempo un cavallo ha spezzato le catene.
la città dolente
i viali assolati e le frescure interne
un corpo pulsante
il colore misterioso delle rose
sembra pergolato umano
là dove conviene ogni negazione
e si sospetta del sospetto
un via vai paziente
lacrime nascoste da timide fermezze
intenzioni che non nocciono all’abisso
che hanno l’infinito per capitolare
il tempo è friabile
nelle sale d’attesa nelle sale operatorie
per le corsie tra luci artificiali
evapora il tuo sole
la illusione un costruttore impaziente
si vede negli sguardi nei vezzi
negli attrezzi portati come bandiera
commilitoni al fronte senza gradi
senza parole sprecate nel fossato
tutti conoscono la divisa del nemico
due giorni e sei parente più del sangue
un caffè un biscotto e addii
anch’essi provvisori nell’aria asettica
smarrimenti ben custoditi
non li trovi ovunque
ognuno geloso di dolori di ribellione
e sulla panca grigia attendo
a presto
a dopo
a sempre.
c'era una volta un campo di grano
zolle di terra
impastata del sudore dei padri
dei nostri padri
una lunga schiera di amori
conditi con la fragranza irripetibile
dell’infanzia sfrenata di corse di fragole
un uomo sorridente
lo ricordo sul calesse
incita il cavallo con la frusta
alla vista di bellezze muliebri
patriarca di una tribù
arreso alla soglia dei cent’anni
solo per stanchezza
o forse per le croci dei figli
morti nelle guerre degli altri
per la compagna
schiantata presto dal dolore
la zia segnata
dalla febbre malvagia
che non l’ha vinta
segnandola soldato della terra
intima solitaria ostinata
una guerriera su campo di pace
disertando solo per la caccia
imbracciando un fucile fatale
alle prede tra i boschi
amore per i chicchi di grano
segnavano vite stagioni morti
nuovi progetti come nuove semine.
la frenesia di modernità abbandonava
la gestione stanca e lontana
dal giallo del sole e dalle spighe
usate per ornare ambizioni al neon
ma l’orgoglio riprende consistenza
la sapienza dei nonni vivifica le zolle
un percorso inverso
cammino di memorie
e si ripropone il grano
tra passioni antiche e orgogli
e semi dimenticati
per la voce senza eco dei campi
zolla dopo zolla
sollevando irrigando speranze
seminando futuro mite
orgoglioso di ritorno alla madre
alla bellezza della spiga
che contende il colore alla sorte
alla buona sorte.
stupro accademico
la brutalità
per usare qualcosa
che non ti appartiene
rubare una vita
un progetto un sogno
più o meno realizzabile
infatti si chiama sogno
qualcosa di inatteso
che capita
mentre stai facendo un’altra cosa
stai vivendo la tua vita
bella o brutta che sia
soddisfacente o insulsa
eroica o decadente
povera o ricca
malata o sana
ti precipita in una nebbia
stagnante e densa
che ti rende paraplegica
priva di ogni stampella
non hai avuto tempo di attrezzarti
e giri tra carichi
oscillanti sulla testa
pronti a schiacciarti per risucchiarti
nel gorgo di melma
nero come la pece
sudato come lardo
sommerso come sterco
ineluttabile come l’abitudine
dopo il salto dalla virtù
lo stupro
violentando
parole di sapere declinato
dottrine di fede e di rigore
alla curiosità alla scienza
alla ragione o alla irragionevolezza
della forza creativa
divenire a portata dei saggi
con un pizzico di follia
scalatori che vanno alla vetta
con occhio al chiodo
fissato nella roccia
fino al prossimo passo
fino all’esaltazione
di guardare la finalità dell’impresa
potenza delle parole
che non mente di significati
che non si vergogna
che non tradisce altro
onestà priva di pregiudizio
che smuove l’interprete
dalla idea priva di analisi
portandolo alla fase innocente.
avanti la verifica
prima che la parola diventi parola falsa
prima che la parola da falsa diventi abitata
da dogmi di verità
comuni a tutti banalizzata
dallo stupro.
rivoluzione e diritto
mi attraversano fulminanti nella loro perversione
si insinuano tremanti come una gelatina di fragole
non voglio assaporare la menzogna pietosa
vorrei già aver vissuto la notte dello scarabeo
accompagnata dal profumo di cedro che adoro
penso agli uomini che lasciano la buona volontà
bruciata nelle calorie obese negli incensi salvifici
nella dimenticanza dei pianti per i loro dolori
sterili della compiacenza per il prossimo respiro
nelle parole sfregiata dagli inganni da circo
ricordare il dono delle leggi nei giorni della
festa per una nuova rinnovata pentecoste.
senza "d" di diritto
ci sono uomini che cancellano colori
che scrivono contorni scomposti
che mettono nel sacco come
incubi miagolanti che possono
atterrare su silenzi complici
su prati di coscienze senza giornate
interrogativi ammalati e annoiati
che riflettono il niente in un compiuto
ci sono uomini che vestono pretese
ci sono uomini che brigano per viltà
ma anche quelli che fingono cecità
che guardano orizzonti segnalati
soluzioni compromesse come argille
informi e irrisolte nelle mani
cecchini che ammiccano a festini.
parole
ci sono forme di violenza
che costringono a riflessioni
non sono quelle fisiche
di predominanze e di forza bruta
sono quelle di insulto intellettuale
quelle che tendono a delegittimarti
a oscurare quello che affermi
contrapponendo volumetrie maschili
come una ridondante obesità genetica
quello che scrivi nel tuo lavoro quotidiano
viene sottolineato come una prova di imbarazzante
revanche di genere o d’isteria puntigliosa
se l’avversario scrive norcinate
estese in cinquanta pagine romanzate
se appare una sceneggiatura
autogestita insidiosa fuori regola
sei frastornata non sai
se dargli lezione di sintesi maschile
o di garbo femminile ricamato
punto su punto con la pazienza
che compete ai forti delle proprie ragioni
scontate e sacrificate nelle incubazioni
di secoli e delle pietre levigate dal sangue
raccontandogli quello che dicono i saggi,
ma anche testimonianze dei padri delle parole
alle quali attingere sapienze
che non dovrebbero essergli ostili
devianze di genere o sordità di poveri di spirito
le cose diventano complicate
e punto su punto le parole dimostrano
crociate di infedeli becchini di parole assordanti
vomitate tra rigagnoli impuri
ma i maschi si parlano tra loro
sempre in punta di qualcosa
non serve individuare l’arma
uno sberleffo o una spada
una pietra o altre armi
che sanno di nascondigli indecenti
a volte assumono forme carnivore
si sommano generi diversi
una coalizione piuttosto leziosa
tra dopobarba e inchini repressivi
ti accorgi che nulla si può dire
veramente cambiato nelle guerre.
stalking e stato
un cerchio stringente mi avvolge
colore delle sbarre arrugginite
con i grigi uniformi delle divise
dei tiranni che giocano barando
il pensiero unico immutabile
che indossano i benpensanti
che esibiscono i mandanti
anche quelli delle rapine sono così
una maschera sulla bocca
e i denti- dadi scomposti -dalle parole
sussurrate nelle aule segregate
un campionario indefinito di lupi
che parlano guardandosi i piedi
che usano lisciarsi di pelo
perché non conoscono la libertà
e credono di doverla regalare
di doverla detenere per erogare
distillata come una grappa
per poterla spacciare come spirito santo
si ubriacano nei palazzi e intanto
si formano codazzi di uomini
che annusano gli umori della
prigionia altrui misto di sangue
tra odore di catrame l’odore delle sbarre
sono una testimone di ingiustizia
che cancella l’oggi ma anche il domani.
geriatria e democrazia
una geriatria della democrazia
stabilizzata su malattie croniche
del sistema come un processo
di invecchiamento di degenerazione
lento e inesorabile fino al punto
di non ricordare più il vigore che
ha accompagnato la salute per anni
forse anche imperfetta ma limitarsi
all’assenza di uno dei tanti dolori persistenti
che ti colgono anzi ti accolgono
a tua insaputa e all’insaputa del corpo
geriatrico il corpo delle leggi tante
e non basta istituire nuclei speciali
per rigenerare commissioni annose
e polverose ma stipendiate per respirare
il cosiddetto diritto e farne pulizia di primavera
non sopravviverà al malato
la cronicità è un dovere vitale
una autodichia di sovranità necessaria
poteri speciali per un disegno speciale
ogni tanto un lifting e raggi uva a volontà
che si nutre dei sogni nel frattempo divorandoli
come speciali gli ammalati del corpo sociale
sudato e bisognoso e miserevole di carità
che ha bisogno della cronicità della miseria
per poter essere salvato
delle cure per poter essere manovrato
ha bisogno dei bisogni per desiderarli
ha bisogno delle raffinate cucine
con raffinati cuochi e raffinati ingredienti da cucinare
per desiderare la pasta a offerta speciale
come una democrazia ad offerta stracciata.
clandestina al sistema
perché sono qui
esposta pubblicamente in un riquadro senza storia?
non ho voluto aggiungerle
loro devono raccogliere una esigenza
dovuta allo stato delle cose ineludibile.
al fogliame che sconvolge il nostro esistente privato
una pulsione antica di isolare blandire
per finte soluzioni di facciata
molte ne prendono le distanze forse a ragione
pure è una urgenza far sentire
un punto di vista un peso una voce
oggi rimane ancora un dovere
diversità rispetto alle omologazioni di massa
creatività versi progetti
scontrati con una chiusura a riccio
devi essere accettata sgrezzata
qualcuno ti deve dare la patente di cittadinanza
senza considerarti clandestina al sistema
senza voce allora l’obbiettivo è fallito
inutile qualsivoglia iniziativa
marchiata di inutilità strutturale
le voci si affacciano sul mediterraneo
bambine e donne in un sistema isolante.
ultimo aggiornamento/pubblicazione 10 gennaio 2019