canti sociali

 

 

 

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                                                                      franchini - racconti

 

 

 

canti sociali

 

 

 

la cifra dell'onore

 

la cifra è un punto un ricamo  lettere  sulla biancheria

di raffinati  estimatori di sé  o una lettera scarlatta

la cifra è il canone  che ci diamo la cifra è  il  canone che ci danno

la cifra della  nostro onore la cifra  del nostro orgoglio sociale

la cifra di un discorso inutile

se il nostro avversario è più scaltro perché  maneggia il potere da tempo

e ci accorgiamo che siamo senza truppe  sufficienti  se siamo  stati sprovveduti

non chiari o addirittura  selettivi  nel ritenere preventivamente inutile parlare

se non diamo né concediamo fiducia  a possibili sostenitori  o forse simpatizzanti

se riteniamo la vittoria scontata e ci affrettiamo a metterci  stellette inutili 

l’unica strategia possibile  è quella di misurarsi  ancora e ancora  e poi ancora

cercando di contrapporre  la ragione al falso d’autore

ancora ancora ancora  servirà  domani.

 

 

 

napoli 

 

luogo dell’anima nascosta  pulsante

che attira come una fantasia sfrenata

come un peccato che aspetta di essere

confessato assolto e ancora  ripensato

particelle tutte insieme filosofia e poesia

dietro l’edicola sulla panchina

per allontanarsi dal frastuono

mentre africani cinesi indiani

con carrelli o cartoni con sorrisi stanchi e furbi

spostano la loro mercanzia

un passa parola immediato li trasforma

in soldatini che rompono le fila disertando

verso i quartieri spagnoli o verso la marina

mentre passa l’autorità della luce a intermittenza

solo gli artisti di strada restano garantiti

da squarci di riflessioni culturali

al quale si concedono  a cappello

sono di variegato genere

di tamburi assordanti  per una tarantolata

di suonatori dell’est per palati raffinati

di ragazze con solida educazione

che si sono perdute nelle ribellioni

tra strade senza segnali

i nostrani  in questa spietata concorrenza

si arrangiano e spesso si organizzano

nei modi di sensibilità rare nel primo pomeriggio

o a mattinata inoltrata una piccola matinèe

con tanto di soprano e tenore graditi a  turisti  e cittadini

per le arie del loro repertorio

qualcuna ti propone poesie ben confezionate

scritte con grafia minuta e  corredate da nastrino

qualcun altro offre di sorteggiare la fortuna

alla stazione il maquillage  della ristrutturazione

non sfugge il degrado per una umanità dolente

emarginata e stanziale fuori sulla piazza

poco importa se ha di cosmopolita  solo  miseria

i turisti si riconoscono dall’aria circospetta

pronti a cercare gli anticipi di moda

di borse borselli cinture orologi e scarpe

campionario di tutto al rettifilo

gli stranieri fanno  percorsi sicuri e obbligati

costiera musei isole pompei

tra un percorso e l’altro fotografano un must

sempre attuale l’immondizia

il sole qui sembra appaltato per sconfiggere i turbamenti

le autorità riunite nei consessi recitano un copione

recitato da attori estemporanei ammessi sulla scena

repliche di cartellone come a  Broadway

mentre ragazzi giocano a calcio senza maglia

e cantori senza note  corrono  corrono corrono

un peccato che ci intenerisce e ci assolve

napoli.

 

 

 

300 euro

 

mi aggiro per le aule del tribunale

parlo con una collega

ha una espressione tirata

nascosta da un rossetto troppo secco

una restaurazione veloce allo specchio

poco tempo per truccarsi davvero ci si maschera

siamo in attesa come fuori  una sala parto

ma non siamo noi le partorienti

attendiamo guardando altri sguardi smarriti

ci salutano di cenni sintetici

qualcuno si allontana dopo aver sentito le risultanze

di un travaglio avvenuto altrove

tra cavilli e codicilli la sentenza liquida trecento euro

si allontanano in gruppo i contendenti

con sorrisi nascosti nelle capienti borse

con  sarcasmi indifferenziati a perdere

le parole sono  alla mercé come moccoli allineati

mi distraggo e mi perdo poi torno a due soli pensieri

un se o un ma dilatati  all’infinito

“è una eccezione” disse il condannato

“è una rivolta” rispose il boia

quale è la fede “la mia” rispose l’infedele

l’ho scritto da qualche parte

mi distraggo nella  parola potente

assordante invincibile che si fa diritto

che scivola nel tessuto sociale

come sangue malsano trasfuso

un respiro fetido di infetti.

 

 

 

il mostro

 

un sospiro di sollievo

il mostro è stato assicurato alla giustizia

le carte possono tornare nel rigore dei cassetti

e nel chiuso della parola

pronunciata fino alla prossima volta

puntate di una tragedia o  di una romanza popolare

di un banchetto dove commentatori  bivaccano

sulla scena del crimine manipolata

da partecipanti volontari e comparse involontarie

da guardoni incredibili che lavorano come  pornografari

si assembla la luce migliore

per il miglior mostro possibile

forse nascondendo verità rischiose

più della galera o della condanna innocua

e le motivazioni vengono scritte man mano

in un’orgia di necessità opaca

di ricreare scenari mai  esplorati

da una intelligenza investigativa risoluta

con domande  e  fantasie che cercano riscontri

che esigono risposte rigorose 

la realtà è ovvia si dice o complessa piuttosto

come una montagna tortuosa e rischiosa

di pensieri innocenti che diventano ossessioni

di mamme sapiscenti che rischiano

illusioni e poi doppi  dolori

di fidanzati indolenti che pagano un bacio

sgranato  dai ricordi

di  padri infamati arrivati alla soglia

del dolore sordo che ti uccide

la realtà è complessa come una puttana

che seconda e intuisce oscure inclinazioni

un’ultima strada percorsa tra siepi

leggere e il niente insidioso

il mostro non è dietro l’angolo è  ormai tra  noi 

tra confidenze di incontri schermati

tra amori traditi che ti esplodono dentro

tra le verità che si  cantano come  un perdono

tra indifferenze  a segnali  e negazioni

anche se il fuoco  divampa  senza orazioni

la complessità non è assicurata

da sintomi confezionati da prove inesplorate

o da confessioni di seconda mano come riciclati

la verità deve essere indagata non inventata

non può essere il mostro che è in noi da cacciare.

 

 

 

i padri

 

i padri degli ideali muoiono

stanno morendo o presto o tardi moriranno

quelli che hanno seguito a testa fiera

bandiere e funerali di uomini retti

fischiettando inni di rivoluzioni e speranze

che si libravano tra case e palazzi

che sostavano nelle coscienze di tutte le marce

senza imbarazzi senza cedimenti senza incertezze

una mappa universale i padri

che non hanno speculato

che non hanno violentato coscienze

che non hanno chiesto prebende

hanno avuto uteri dove pensavano

di fermentare libertà e  di inseminare  umanità

la molteplicità del  pensiero si fa sogno

si fa orgoglio si scioglie alle essenze

quando la ricchezza sta nella imperfezione

nella riflessione nel dolore della creazione

quei padri  quei padri

stanno morendo o presto o tardi moriranno.

 

 

 

lezione d'amore sul tram linea 1

 

salgono in gruppo spintonandosi sono in cinque

si siedono scompostamente in ordine sparso

le cartelle tra i piedi o gettate sui sedili liberi

un peso riposto fino al giorno a venire

un disagio  serpeggia tra i viaggiatori

continuo la lettura nonostante le occhiate

che mi lancia il mio compagno di viaggio

i suoi occhi sibilano ordini

mi invitano  ad alzarmi alla prima occasione

mi invitano  a mettere distanze di sicurezza blindata

il più grassottello del gruppo mi si siede di  fianco

-signora, cosa state leggendo?

-è un autore che si chiama …

rispondo allungandogli il frontespizio perché possa leggerlo

-e… di cosa parla questo libro signora?

-parla dell’amore

un coro di sghignazzi dei compagni

-su internet scopavano

-quando si scopa?

-lo chiediamo alla professoressa

dico  -questo libro non parla di questo modo d’amore

mi chiede -di quale amore  parla? 

-dell’amore che provi

per la nonna per la zia per  il gatto di casa

per un tramonto sul mare o per una gita sulla spiaggia

esigono i compagni –ma quando si scopa?

il mio vicino intima –statti  zitto scemo!

si allontana senza saperlo  dalla volontà collettiva

che si  insinua ed esplode in cieca volontà di gruppo

annulla codici annienta la coscienza soggettiva

mi alzo mi avvicino all’uscita saluto

ho mentito sull’autore un misogeno che crede le donne

astute e sempre vincenti sull’uomo

con tecniche distruttive della loro natura sensuale

auguro buona vita ma in rigoroso silenzio.

 

 

 

clandestini al sistema 

 

perché sono qui

esposta pubblicamente in un riquadro senza storia?

non ho voluto aggiungerle

loro  devono raccogliere una esigenza

dovuta allo stato delle cose ineludibile.

al fogliame che  sconvolge il nostro esistente privato

una pulsione antica  di isolare blandire

per  finte soluzioni di facciata

molte ne prendono le distanze forse  a ragione

pure è una  urgenza  far sentire

un punto di vista un peso  una voce

oggi rimane ancora un dovere

diversità rispetto alle omologazioni di massa

creatività  versi  progetti

scontrati con una chiusura a riccio

devi essere accettata  sgrezzata

qualcuno ti deve dare la patente di cittadinanza

senza considerarti clandestina al sistema

senza voce  allora l’obbiettivo è fallito

inutile qualsivoglia  iniziativa

marchiata di inutilità strutturale

le voci si affacciano sul mediterraneo

bambine e  donne in  un sistema isolante.

 

 

 

alla posta

 

mi avvio di buon’ora

un vecchietto  distribuisce numeri scritti

su  cartoncini ricavati da qualche scatola vecchia

chiede al nuovo arrivato quale  operazione debba fare

mentre passeggiano occhi inquietanti

e sono appartati vecchi pensionati indifesi

non so  se  offra i suoi servigi  per un caffè

una folla sparsa sembra fiduciosa all’apertura

convinti  tutti secondo l’ordine di arrivo 

“allontanatevi dal cancello!”  si comincia a urlare

arrampicati  l’un l’altro come  dovessero scavalcarlo

c’è preoccupazione qualcuno si allontana

calcolando che l’apertura opererà come una ruspa

tra le spinte una donna alta e grassa rassicura

“manterrò io l’ordine di ingresso, sono della sanità!”

con il tono di una   dichiarazione  gendarmica 

due  sembrano  ragni  spiaccicati come in  sortilegio

un altro passeggia claudicante

mi allontano ma  un signore mi scruta

come volesse farmi l’oroscopo

ha le tasche del vestito  sporche di colore

immagino sia un pittore  mi vuole offrire un caffè

misterioso si professa indovino

ma un giovanotto si avvicina “avvocà …  comme state?”   

la macchina  dei numeri è presa d’assalto

mani nervose premono premono i pulsanti

il claudicante si affaccia sulle spalle di una ragazza

lei  protesta ma lui ribatte “sei  troppo corta”

la macchinetta non funziona “lo fanno apposta!”

mi tengo appartata dalla ressa

un uomo mingherlino si  china verso il pavimento

afferra la sflilza di numeri in sequenza 

che la macchinetta ha già sputato

si allontana lasciandosi dietro il vociare convulso

nessuno se ne accorge la folla guarda altrove

mi avvicino e gli chiedo un numero

mi ritrovo  un dieci lui tiene l’uno

mentre continuano  spinte e imprecazioni

la folla vuole la rappresentazione non la rivoluzione

è  la “mappata d’o bbene e d’o male”. 

 

 

 

privacy

 

barelle con malati esposti 

ai pubblici sguardi dei visitatori

avventori estemporanei

e sanitari che passano e ripassano

confondendo la morte

per uno stremato appisolamento temporaneo

quando un malato di polmonite

viene abbandonato alla vista di una finestra aperta

basterebbe  un solo paravento

da spostare letto per letto

per morire protetti da occhi  indecenti

ma  a morire di cronaca si scatena il diritto

di sapere  se hai avuto amanti

o platonici desideri di  madre esemplare

o sadica prevaricatrice  pettinata in quel modo

o hai vissuto ignara di una  esposizione morbosa

del tuo essere vissuta e morta

percorrendo codici segreti di dolori

e nei corridoi degli ospedali non c’è silenzio

non c’è silenzio nei passi  di medici e inquirenti.

 

 

 

non volevo

 

non volevo partecipare per sconforto

siamo ancora al nulla e il peggio è

forse  il massimo cui  si possa aspirare

dobbiamo combattere più battaglie

demansionate  sottopagate  sottovalutate

o disprezzate o emarginate o socialmente logorate

dobbiamo combattere per equivalenze

sociali e di carriera e giustizia sociale

dobbiamo combattere per impedire

che ci mettano catrame sulle ali

senza immagini patinate

obbligatoriamente giovani

avvenenti morbide  profumate

scardinando miti  e il patriarcato

nemico inesorabile di trappole sociali

senza percezione comune o solidali

trasformate in cattive e competitive

programmate per compiacere uomini

e attaccare le donne oggi prigioniere

con la cella aperta ci vuole libertà

immaginazione creatività coraggio

una volontà sfrenata sugli  obbiettivi

accogliendo una visione diversificata

della maternità e paternità dell’amore

e perché no della rabbia

senza desiderare la morte dell’altro

mentre ogni due giorni e mezzo

una donna è uccisa. 

 

 

 

pasqualino lo storpio

 

si  nascondono in panni sociali

camuffati immacolati orientati

a combattere  nefandezze e avidità

odiosi  più dei  delinquenti

distinti  da una spanna di banconote

in una società fatta di poveri assistiti

somministrati vessati  merce da omologare

e  pasqualino lo storpio

viveva di espedienti in un basso

con donne ciclicamente diverse

mescolando figli e figlie

prese un coltellaccio dalla cucina

voleva scannare l’autista

prima ancora di capire se fosse viva o morta

la figlia investita dal  camion

attraversando di corsa la strada

solo lui poteva ammazzare di botte

mogli  e figli in una epoca buia

dove il bianco e il nero erano nitidi

sapevano di vita di bucato o di porcile.

 

 

 

sdraiati e derivati 

 

mi porto addosso  una invalidità temporanea

che mi fa pensare a quelli  afflitti da  handicap permanenti

quelli che subiscono le angherie dei pre-potenti sani

quelli della professione più vecchia del mondo

quella che promette e non mantiene quella che ignora

quella che ha esigenze di lavacri nascosti

tra proposte elettorali dal sapore amaro come una medicina

 dentiere per tutti e cataratte gratis

ma il contorno di gocce e profilassi è un salasso

per i poveri  che sono un affare sociale

come i compra oro  rivolti a chi  ha venduto i ricordi più cari

no!  non hanno aspettato non hanno aspettato

che diventassero cadaveri per estrarre  l’oro dei denti

“non possiamo fare assistenza agli invalidi”  intanto

la reclame  è tutta sui letti a rete sollevabili

e scale mobili e sostituzioni di belle vasche

con  docce cellette  e il manico per non cadere

con seduta incorporata per far passare

il tempo alle nonne  uno stiratoio da seduta

piccole rate per carità inserite

tra batterie nuove di zecca e poltroncine sollevabil

i soldi sono come le uova  che devono essere fresche

devono sostituire quelle marce possedute da comuni

regioni  banche  fondazioni  fortini assicurativi

vari  enti con in pancia uova derivate

soldi malati che non si possono spendere

e per questo non ci sono a dispetto dei malati

andate e comprate non vi lamentate

non moltiplicatevi e se possibile lavatevi

i soldi sono  un buon detersivo

 il successo un buon deodorante

figurarsi la realtà sdraiata.

 

 

 

schiavo

 

non ha avuto il modo di comunicare

i segnali di un io denudato

una guerra combattutta in un involucro

di plastica che credeva visibile

comunicata   percepita  certificata 

così  è diventato  irriverente

verso la responsabilità negata

consegnandosi  a un dopo tragico  irreversibile

e poi la vita da decifrare e srotolare

come un papiro impietoso  estraneo

il dolore è suo mentre  mente al mondo

per poter vivere fino al punto estremo

di morire collettivamente senza appello

con l’efficienza carnivora di schiavo

pronto a  perdere il controllo e deflagrare.

 

 

 

signori ... biglietti

 

-siamo appena saliti hai capito?-

invasato l’uomo gesticola scegliendo l’attacco

-vai a vedere i neri  stanno lì!

e se la ridono pure andate a prenderli -

-io ho la pensione che è già finita

e non sappiamo che mangiare-

grida e gesticola l’anziana

ha  i capelli color fuliggine

-io ero appena salito- ripete iroso l’uomo

replicando la stessa sceneggiatura

davanti ad ogni nuovo passeggero

che partecipa coralmente al testo

e che salendo timbra prontamente

e racconta le proprie traversie

mostra biglietti di un’ora e quello orario

-ho già dato alla collettività

con questo una sola corsa

quest’altro è ora  inutile-

il controllore si gira intorno si allontana  a caccia

annusa una nuova preda una donna nera

sembra una maschera africana

ma non ha davanti a se Braque

non gode degli impulsi d’arte

di un Derain o Brancusi

curiosi di una prospettiva altra

effervescenze  primordiali e sintesi

magie di luoghi  lontani e rassicuranti

la donna alta e allampanata è scossa

ripete inutilmente la sua litania barcollando

non è sintesi formale e magica di una cultura

qui è  la rappresentazione di una malattia

il suo occhio spento è infezione non è di  Picasso

fissato su una tela furiosa di spezie e colori

è lo sguardo torbido e umido che passa e ripassa

come le onde sui rifiuti sballottolandoli alla deriva

-io non ho documenti non ho fatto colazione

lasciami stare devo raggiungere mio fratello -

implacabile il controllore la tiene saldamente

non si sa se per aiutarla o trattenerla

scendono nel trambusto assolato della stazione

la folla è distratta è nelle viscere di un altro quadro

un signore passa pericolosamente tra due tram

-meno male poteva morire! –

-meno male che stavolta non è morto! -

 

 

 

una sera

 

nel ventre di un quartiere popolare 

vibrante umido sembra una bolla opalescente

il ponte sospeso lì in alto

dà l’impressione di una città sepolta

macerie polverose e pulsanti di suoni

mentre le luci si smorzano

l’ombra della sera veste la piazza

come  un mantello bagnato

la luna già alta sembra indecisa

tra le pietre della montagna e il mare

cibarie di ogni gusto e polli che pendono

un cane con padrone al guinzaglio

si destreggia tra cumuli di sporcizia

all’angolo luci e riflettori di uno store

per partite ricariche slot e vizi e giochi

una umanità che muore con il silenziatore

che esplode nella tastiera o in un gesto insano

la pizzeria all’angolo sembra trasbordare all’esterno

come il pizzaiolo accaldato

dal forno  che ammicca alla sera

sull’aiuola senza verde si attarda un piccione

gli altri dormono vicini

come legati sotto i cornicioni 

tra scorze di arance si capisce

la vita che verrà nella notte

popolata di uomini e donne

alla deriva senza canti di uccelli

sul muretto che limita l’aiuola

una donna le braccia lungo i fianchi

le gambe allungate

e larghe su una taglia possente

la carne si indovina traslocata  dallo scheletro

è circondata da borse di stracci

una espressione di beatitudine stampata sul volto

sembra  una balena spiaggiata

nella notte ormai sicura

si vede il lungo rivolo del mare

lì sul selciato.

 

 

 

sogni e segni 

 

sogni e segni si rincorrono ognuno a suo modo

costringendo a un fare una promessa inevitabile o inutile

un ragazzino che ricordo catturare le lucertole

in campagna una abilità sorprendente

una canna da pesca con una piccola lenza

costruita alla meno peggio abile cinico adorante

diceva di amare le lucertole per questo le catturava

immobilizzava squartava con una piccola lama

alla rinfusa o forse chissà con crudele maestria

toglieva qualcosa intestino e ricuciva con ago e filo

è stato un salumiere felice e un brav’uomo pare

la vita  è ermetica è un lecca lecca mancato

o un bacio mancato o una giostra mancata

o una carezza o un incoraggiamento

che ti fa costruire una fabbrica o ti trasforma

per la ricerca di un piccolo desiderio

che rimane incistato da qualche parte

incuneato nella pelle incastonato

come una perla rara negli occhi e ti rende

la vita una lunga attesa di una lacrima di autentica

sorpresa o di  dolore bruciante che ti sopravvive

un grande dolore rutilante  nel lusso che non appaga

o un piccolo grande uomo che non lascia tracce

se non narrato amato ricordato

adoro cogliere parole sensi promesse

non è curiosità è  ascoltare il vento masticare

portava una pinguedine irrisolta e uno  zainetto

cavalcava una bici, come un cavallo

domato con maestria allineato a un compagno

di viaggio e di sudore che lo guardava distogliendo

lo sguardo dal percorso come chi ha sapienza

e  ti dona il tempo che serve  a spiegarsi

-ieri riflettevo che, a ben pensare, in ogni cosa

possiamo cogliere  un senso, una magia -

mi ha intenerito madre ero in quel momento

la madre fuggevole e ignota quella

di ognuno forte e dolce e  benedicente

che sogna per un figlio sconosciuto

che non tradisce che non accartoccia che non ri- piega

una magia che non tradisce che mantiene tutte le promesse.

 

 

 

una bellezza perfetta

 

la massa vuole la bellezza

la vuole per sé la pretende negli altri

perché vuole sognare  adorare

vuole somigliare vuole riconoscere

una superiorità deificata

viene riconosciuta apprezzata adorata

nei personaggi pubblici deve bucare

penetrare arrivare illuminare come una visione

alla commessa chiedo se è sicura

che non ci sia piombo

in quel rossetto dal costo di tre euro

- controlliamo la composizione se c’è 

ci sarà scritto sicuramente-

la  bellezza impazza e si ricicla

vende e svende senza controlli

le profumerie note ora vendono

anche prodotti ignoti

e ti accolgono come banchieri

che cercano di piazzare sul mercato  i derivati

una volta  offrivano  “campioncini prova”

in numero esagerato se avevi obbedito

al colore del mercato dell’ultimo

fard o riempi labbra o  gel avveniristico

un monodose  per un contorno occhi

senza l’uso  della  carta aurea

sicurezza dell’ordine del benessere

ultimo ordine spirituale della perduta innocenza 

la  bellezza come terra  promessa

si organizza e alza l’asticella

c’è sempre un miraggio che deve

essere rapido ed efficace

si leggono moderni oracoli

“l’unione di principi attivi rari e pregiati

come caviale ostriche seta e fito-endorfine

risultati straordinari principi purissimi

e di qualità altissima con risultati

visibili con un solo trattamento”

con prezzi  competitivi onesti

pacchetto corpo 300 anzicchè 390

ma è assicurata la riattivazione del deflusso

la bellezza è costosa esclusiva

raffinata impudente seducente

comunicativa evocativa  irraggiungibile 

una” remise en forme”  impeccabile

come una ripristinata democrazia

dopo intervento delle truppe ONU.

 

 

 

perchè son sempre mi!

 

si nascondono in  distinte spoglie

sembrano cabarettisti o piazzisti

pronti a cambiare abito di scena.

un’altra commedia una nuova strategia.

sono sguinzagliati sono variegati,

sono ammacchiati o  sguaiati

sono boriosi e chiedono pizzi

sono pelosi perché si infilano

sono generosi e non costa niente

elemosinieri del capriccio

hanno nozioni di psicologia

hanno rudimenti di psichiatria

hanno nozioni   di sociologia

perché la cultura rende affidabili

entrano in contatto  casuale

poi passano all’azione  dopo averti spaesato

sono irreali  ma un tantino  eventuali  

hanno etichette nella saccoccia

cambiano verso a più non posso

-sei l’omino del sombrero?-

mi hai preso in consegna

un ostaggio ingombrante e pensante

da passare da una banda a l’altra.

un   piazzista  bugiardo un infido omino

-perché son sempre mi ! -

cambia maschere  regole e trame scritte.

la comunità  ha un altro  custode

una investitura promettente

si nasconde  è sotto traccia striscia

frantuma la realtà sussurra urla

detta ordini  ordini  irrituali 

uccide brandendo quattro ossa

quattro ossa da passare in lavanderia

strizzate e sbiancate  di parole

con una  nuova etichetta

ripulite di tracce umane

il tempo non dirà più di quale morte

il morto è morto

ma è morto si vede dalle ossa.

 

 

 

utero orizontale

 

strade laterali che attraversano

la grande arteria per andare

in un luogo impreciso

un portoncino e poi un altro uguale

sulla facciata un foglio di carta

legato per un solo lembo

con un logoro pezzo di scotck

sul citofono nessun indizio

un luogo apparentemente disabitato

programmo le prossime ore

ma la scritta è a pochi passi

sul muro scrostato la osservo

sbiadita come lavata da lacrime

è circoscritta chiusa in un segno

oblungo come un utero orizzontale

la stessa matita  dalla punta sottile

una confessione una denuncia

-12 11  2005 mio fratello

me  l’hanno violentato

perciò sono per strada-

l’ingorgo emotivo si scorge sembra

-mi hanno  violentato-

o

-mio fratello è stato violentato-

o

-il mio sé  interiore è stato violentato

ed era come se fosse mio fratello-

quella matita si è spezzata

sopraffatta vinta nella urgenza

di gemere in solitudine  e insieme

urlare una offesa uno sfregio

una ingiustizia sofferenze che restano

il tempo di una corrosione  nascosta

scritta con sangue lavato e innocente

allora avrà  smesso  di avere una casa

un  fratello un  padre una madre

amici confessori  maestri o idoli

o compagni di viaggio

avrà smesso  di sentire

il suo potere nei confronti del  mondo

nei confronti  di se stesso

dieci anni da quella scritta

dieci anni una vita forse una non vita

forse vissuta tra spasmi emotivi

incattiviti e acidi  un reflusso

senza speranza irrigidito in pareti

nascoste  e solitarie nella sorte

di quel grido sommesso anonimo

dolorante di un altro uomo alla deriva

un essere  costretto a indietreggiare

oltre  sino a un burrone.

 

 

 

la parola di mezzo

 

la parola

quella sfregiata e sprezzante

la parola che uccide o nasconde

la parola di parte quella parte

o l’altra parte messa a pupazzo

confezionata  impagliata

la parola che collassa su se stessa

perversa senza identità

passa l’idea che utilizzando

un linguaggio forte si evochi

l’entità verità a un tavolo sgangherato

dove qualcuno si alza minaccioso

frustrato in situazioni esplosive

una folla attonita ascolta

perde il controllo delle idee

esplode lasciando affiorare

fumi tossici dalla terra

primitivi e irrazionali

che la parola  aveva patteggiato

temeraria e bruciante

in un vociare che si perde nei secoli

non c’è spazio la menzogna annienta

gli accattoni dell’ascolto abbandonati

la domanda è attenta

é oculata e parsimoniosa

la parola è gratuita sprezzante

la domanda è disciplina

non azzarda e non spreca

la domanda non ha profitto

la domanda ha dei doveri

non si può consegnare ad essa

la risata irriverente della parola.

 

 

 

vedi come starnazza impazzita

 

un atteggiarsi senza rimorsi

attraversa il mondo

una verità spietata

in una strada  lunga di secoli

è più facile perdersi

la realtà si frantuma

in mille rivoli vecchi e nuovi

non serve la bussola per orientarsi

in una verità inesauribile

che si rinnova e marcisce e pecca

senza pronunciare  parole

non colpisce l’uomo che non si scusa

ma la donna che non  esige

con grazia o fermezza

con dolore o ribellione

con modestia o con grazia

e la verità riprende forme diverse e antiche

tutte noi streghe che una  volta bruciavano

ora sono decapitate bambine

infibulate  usate  abusate

contenitori corrieri di droga e poi ancora

adescate e commercializzate

come supporti masturbatori di sterili desideri

tra  posta del cuore e smania di essere à la page

il mercato subdolo fantastica

un pollaio inconsapevole e inerme

e lievitano nuovi dolori stipati in naftalina

dissolvendo capacità e potere

sostituiti con leggerezze e distrazioni

dove un uomo qualsiasi

in un posto qualsiasi del mondo

trasforma  una donna

in gallina per mozzarle la  testa

e poi dire:

-  vedi vedi come starnazza impazzita?-

 

 

 

donne e dirittialismo

 

si torna all’antico alla moralità che prude

ieri sotto le tonache oggi sotto le toghe

recitano clemenze e non trovandole  per la vittima

le coniugano confezionate e adescanti 

un bel nastro ubriaco incosciente nascosto e deliziato

si sa le fantasie sono sfrenate segrete e  inconfessabili

eliminiamo ogni riferimento non esistono i cristi  che si ammazzano

non esistono programmi dove si  racconti

raccontare è pericoloso le emozioni sono esplosive

i fatti sono tuonanti sono  bombe sganciate a occhi chiusi

portare testimonianze  lettere  fatti raccontare il vero

lasciare che arrossiscano gli esecutori diligenti  di destini

lettere dal fronte un bambino scriveva

-abbiamo sentito tuonare

un ordine bestiale io ero nascosto-

basta una femmina  che è rimasta nella testa

troppo audace per essere innocente

troppo libera per essere una musa

una rimozione dove la consuetudine gioca la partita

vincendo sulla conquista annullandola senza convalidarla.

l’immaginazione dell’orrido  sonnecchia  in  ogni uomo

esplode in tempo di guerra  quando le donne sono bottino

asservite alla gerarchia  usate  per  sfregiare il nemico

sgozzate  oltraggiate umiliate poi rifiutate

per il frutto dell’odio senza nome  inoculato

nella storia di eroine e di sante c’è un uomo

che fugge che schernisce che giudica che  può giustiziare

giustiziando i propri  fantasmi torturatori

l’uomo non perde né crudeltà né arbitrio

basta una femmina  rimasta nella testa

troppo audace per essere una vittima

troppo disorientata per essere credibile

è proprio quella femmina rimasta nella testa

che agisce arma la mano avvelena e giudica

lo stupro continua  nelle parole  nel peso delle parole

nei sottesi delle parole conformiste e aziendali

ma ti occorgi che la gente non vuole sapere

al massimo si attizza a cose fatte

delitti brutture stupri ruberie la fantasia si mette in moto

la pornografia del possibile la indecenza di scrutare

la indecenza di giudicare è un altro sport inventato

come una scoperta culturale come il pittorialismo

io lo chiamo dirittialismo

sfocata  sbarazzata  ipotesi  del diritto.

 

 

 

caro amico ti scrivo ... poi mi distendo un po

 

le rimozioni sociali funzionano

in tirannia e in tempo di pace illusoria.

il silenzio statistico o la devianza informativa

i suicidi in carcere triplicati

luoghi di redenzione e di ripristino di  regole

non  luoghi  torturatori di dissidenti

né luoghi di  regolamenti o aggiustamenti

per la gente dabbene è  un non problema

una devianza informativa

-io sono qua tu stai bene là

lontano invisibile in attesa-

un  prodotto del sistema

da sfruttare nei talk o nei convegni

sui  diritti umani  un gioco di società

chi non entra nelle statistiche appartiene

al sistema  di  silenzio statistico

ci sono i suicidi da riporto i refusi di stampa

non catalogabili destinati all’archivio immediato

ma l’istat non  classificai i suicidi annui

determinati  dalla crisi quelli del suicidio economico

della disfatta personale

della perdita dell’identità

della sconfitta sociale

i padri indigenti quelli che hanno perso il  lavoro

la vedova senza sopravvivenza

il pensionato abbandonato dai parenti

i morosi incolpevoli

no  i suicidi non lasciano tracce evidenti

non scrivono alla stato e per conoscenza all’istat

non scrivono tantomeno ai parenti

loro già sanno sarebbero destinatari  inutili

prima del lungo tempo di  morire

c’è la forza di combattere di protestare

di chiedere e di sperare

c’è una molla che ti impegna una corda

che risuona un gesto di fiducia spontaneo

ti aspetti  che il direttore ti chiami

che l’amico sia sincero che i controlli funzionino

che una decisione arrivi puntuale

che qualcuno si ravveda

che la giustizia sia certa  che il mondo non sia

il profitto l’ipocrisia  l’indifferenza che conosci

se non sei morto ancora

nonostante il  disordine  autoimmunitario

che ti abita da quando è arrivato

il messaggero biochimico famoso soppressore

delle funzioni felici del tuo essere vivente

ora  si è  accasato alle emozioni negative

che avviano processi da catena di montaggio

che innescano  le tue  norepinefrine 

perché ti sei nutrito uno schifo

hai sofferto hai pensato male ti sei logorato

 hai passato  informazioni negative

ai tuoi meravigliosi sistemi nervoso e sanguigno

e la produzione di  endorfine si è  ridotta a zero

allora o sarai  morto di crepacuore

o ti sarai  procurato un cancro

-siamo  spiacenti non entri in alcuna statistica-

arriva  il silenzio che non è il luogo

dove non ci sono parole

ma quello dove è inutile pronunciarle

dove non  puoi  trovare la forza di scrivere

al direttore all’amico allo stato  per conoscenza all’istat

caro amico ti scrivo …  poi mi distendo un po’.

 

 

 

il lavoro è finito ... andate in pace  

 

il corpo sociale giovane quello che vive

di prospettive di scelte  di dimensioni affettive di progetti

quando non  ha o perde il lavoro

muore ogni giorno

senza la possibilità di elaborare lutti

senza poter  tenere a bada la disperazione

la paura della porta chiusa o che si chiude definitivamente

senza speranza di poterne uscire

assecondando  rinnovamento e  rinascita

progetti di famiglia  prospettive di realizzarsi

una generazione ormai estranea a se stessa

perché abbandonata senza futuro

quando la memoria è corta

le leggi promulgate continuano a non  reggere

le gravità di fatti per i quali il controllo

la prevenzione  la buona volontà

sarebbero sufficienti ma non  se ne rinviene traccia

preferendo andare allo sfascio nutrendosi di cadaveri

mentre  la funzione legislativa

è nelle mani dei  nemici del popolo

e la funzione giudiziaria è senza  vigore nelle decisioni

una  sospensione che non è esemplare

le leggi nascono già burocratizzate

per preparare  una società di esclusi e sfruttati

e te ne accorgi

quando non ci sono fondi per gli usurati

né posti per i disoccupati né case per gli sfrattati

e il tempo tiranneggia la consapevolezza 

di doversi donare alla vita mentre 

si vive come scarti psichici della famiglia

perdendo la percezione del proprio stare al mondo

forse per ricevere  l’onore di cronaca di un funerale

nella indifferenza generale nella comunicazione

spettacolare nella ipocrisia istituzionale

alla società non interessa

la  versione esatta della storia

ci sarà il  tempo di raccontarla mercificata

e a buon mercato.

 

 

 

camorra e camorria  

 

per strada la cronaca diventa percepita

la puoi temere quando

un uomo riparte con il motorino

sfiorandoti ma poteva anche ucciderti

la sua espressione sarebbe stata la stessa

quella del vuoto dell’ isolamento della incomunicanza.

i bambini giocano al pallone

sai che devi proteggerti da quello

che ti punta come la porta avversaria

cammini  non passeggi

gli anziani indifesi gli ammalati schiaffeggiati

camorria conserteria di alterazione

di fatti manipolati ad arte da uomini e istituzioni

pratica antica da spodestare

con parole caustiche da usare

sommersa sotto traccia è la calunnia 

di chi si serve del  potere

orientandolo a proprio favore

è il gusto dell’affermazione “io sono io…”

di colletti non certo immacolati

ma orlati di grigio insomma sporchi  molto sporchi

è uno stato d’animo di chi deve

vigilare e cammina cieco

di chi deve agire e finge di essere

nel mondo dei giusti dalla parte

giusta puntando il dito

e intanto è attore regista sceneggiatore

tecnico e perfino doppiatore di tutte

le parti di una sola  assurda commedia  

dove la camorra è orrore  

è orrore  sociale è orrore  morale è  orrore storico

colpa della indolenza finche  del sole o della luna

la camorra  è nelle lacrime

ai funerali di innocenti bersagli

nella chemio di uomini donne  bambini

avvelenati  sacrificati al profitto

negli occhi spenti dei camorriati

che scoprono che  il futuro  è

nella sopravvivenza del giorno dopo

quando il camorrista beneficia

di consessi  di  uomini  indifendibili

ricercatori e inoculatori di sopruso

camorria la nuova patologia virale

senza vaccino da estirpare

prima che diventi endemica

oggi l’illegalità attende che ti arrenda.

 

 

 

macellerie del vero 

 

non è l’informazione libera

accessibile fruibile a produrre progresso

coscienza e conoscenza non sono

al servizio della verità dell’affermazione

che  dovrebbe rinviare ad un ulteriore vero

più vero di quello che si assume vero

la parola in questo contesto diventa

concettualmente filtrata perde di integrità

di vigore rincorre altre oscure  finalità

assumendo un carattere pubblico di

un mondo di immagini ipnagogiche

può essere un insulto sputato mille volte

tollerato e replicato all’infinito

perché mille volte percepito finchè

la coscienza non viene addomesticata

finchè si veste da ostentazione poi

oppressione poi abuso poi strumento di morte

questi strumenti operano  portano mani

insanguinate di parole scomposte sventrate

parole che negli scritti nella mimica

nella dinamica sociale nelle aule di giustizia

ammucchiano  il giusto e l’ingiusto giuridico

e le chiacchiere e  il vago e il corretto

corretto  inteso come un caffè 

una folla gesticolante  seleziona recita e replica

in una trasmissione di omicidi si posizionano

colpevolisti e innocentisti

in un traffico di parole spermatiche

curando che il pubblico debba raggiungere

un momento di allucinazione visiva

la  tecnica di comunicazione

che intossica opacizza e impera

un pericolo di ingerenze informative

ovvero il  ricorrere ad  inganni

per portare a termine operazioni offensive

per produrre lucro a favore di gruppi

o trarre vantaggi in proprio

aumentare  pesi politici o distruggere

per  costruire nuove  carriere

comunicazioni capaci di influenzare

di orientare giudizi di alimentare

di avallare comportamenti teppistici

in modalità collettive financo

alterando e distruggendo la compagine

culturale   di  una intera comunità

i segnali impercettibili soffusi 

aleggiano come innocui pulviscoli

ma  hanno infestato  il tuo vissuto

sei morta.

 

 

 

mamma cassazione

 

da te  si ricorre per l’ultima appellazione

l’ultimo  tempo per una severa ragione

ma spaesante ti ammanti di rigore

sei una mamma pretenziosa alquanto

la logica per te non è costituzione

operi su sanzioni ultima spiaggia

e assesti schiaffi di punizione

persino incoerente ad altre spiegazioni

lo so che stilemi ti hanno sfiancata

così qualche volta  travisi le intenzioni

se muore il diritto te ne fai una ragione

mamma cassazione se qualche figlio

è diventato un prestigiatore

poi si è mostrato un mascalzone

tu hai sbagliato educazione

ne hai fatto  un uomo di vento

in fondo un razzista indolente

parli più lingue  e puoi dire un  “già”

ma ogni tanto un “forse” ci sta

fa tanta illuminata creatività

quando sbagli temi i saccenti 

quelli che sorridono ai tuoi adagi

e ci scrivono sopra di rovescio

non a caso puoi almeno evitare

di agevolare uno “strascino penitenziale”

chiamala pure commedia dell’arte

ma  troppo tempo per decisionare

a volte proprio  arzigogolare

qualche figlio scemo

non redarguito diventa arrogante

altera decime di  motivi

con la mano morta dà  l’estrema unzione

mentre affabula le sue ragioni

e qualcuno viene poi disarcionato

in nome della legge perfino beffeggiato.

 

 

 

corruzione

 

la corruzione sia democrazia

una giostra sulle vite e nelle  vite si fermerà

forse tra il cigolare delle catene e piano piano

si ri-comporranno i contorni visivi

i nomi dei  giostrai ricchi e  analfabeti

scompariranno nelle piccole cronache paesane

ma ora in nome del terrore  bombardano

donne e bambini e uomini e vecchi e malati

salvatori con  un tozzo di pane

per poi  trasformarli in nuovi consumatori

mercato  e guerra vanno a braccetto

per  il mondialismo dei mazzettari

un nuovo ordine attende un universo sonnecchioso e felice

mentre il  terrore arriva dalla curve delle coste

o  dalle piazze infette o dai quartieri dormitorio

il mare rosseggiava  i barbari iniziano le esecuzioni

armati di simboli terrificanti

ma subito anche  nuovi commerci nuove credenze

nuove stoffe  nuove tecnologie  nuovi poeti

e il linguaggio muta  fino alla prossima paura

l’umanità attraversa un collo di bottiglia

stretto e impervio un buco sanguinolento

che viene giù  come  magma ignoto

di mercato di provvigioni

tra  guerre preventive e urli di sacralità

si cerca il nemico di comodo

la circolazione rapida di capitali un click

le nuove metastasi corruttive

come atto di fede illuminata

con  ricette  conservate nei caveau

da  tecnocrati di una nuova specie  luciferina

in giro mai disoccupata mai oltraggiata

con l’inganno del controllo con le libertà ritirate

con la comunicazione oscurata

perché  le malefatte restino segrete

perché la corruzione sia democrazia.

 

 

 

la madre che non sono stata

 

un figlio l’ho sognato e amato ed era tanto l’amore

che me  lo sono negato per non sporcarlo

nella   libertà del  pensiero nel morso del  rigore

ti avrei educato  sensibile e disarmata preda delle emozioni

empatico amante della natura fedele alla sua stessa  tirannia

poi corazzato alle intemperie all’inganno

alle apparenza che mentono   alle ipocrisie che strisciano

forse saresti stata una bambina destinata a parlare

con la forza di un linguaggio diverso

tra esseri  uguali  a volte difficile da rispettare

mi avresti chiamata bugiarda  quella che ti racconta

favole false di principesse e principi amorevoli

malati  di amore speculare amante del tuo piede

la scarpina da far calzare in attesa dei calli che fanno male

la collera che esplode della promessa schiacciata

figlio! si contenderanno tutto di te parlandoti

mostrandoti  il  mondo come luogo di perdizione o di redenzione

e tutti ti vorranno adepto o devoto o anestetizzato

 

ho pensato a te ancora ieri l’altro

in una carrozzina un bimbo come avresti potuto essere tu

una  mamma vigile attenta circondata da una aureola

di vigore di forza senza preghiere  di fierezza

senza pieghe  senza parole superflue parlava di te

di come eravate fortunati ad essere entrati

 in un programma terapeutico finanziato

tu  regalavi  un tenue riscontro motorio

per un  amore allo stato primordiale

le ho offerto il posto  mi ha risposto strizzando l’occhio

-sono impegnata a guardare il gatto e il fritto-

si preparava a scendere e sistemava le vettovaglie

acqua minerale  e  una carezza

 

sei stato risparmiato da tribolazioni genetiche

da maestre sadiche da amici bulletti da sette sataniche

dal fascino dello sballo da imitazioni servili

scambiate per emulazione da preghiere scivolose

da servitù morali dal gusto del proibito dai pensieri laidi

da rituali macabri da contaminazioni  sociali

 

ora sei adolescente sei armato di strumenti

cerchi risposte tieni strette  le contraddizioni che semini

le  verità che avanzano domande e timide risposte

vuoi sapere della società degli uomini dei pensatori

ti  tengo nascosto il troppo amore ti lascio frollare crudo e lentamente

le notizie sono descritte negli orrori della cronaca

avresti letto abusi arroganza ambiente contaminato

banche truffaldine bilanci truccati

calcio svilito  da accordi  preventivi  e finanche

di carmelitani scalzi  il malaffare l’intrigo la truffa il vizio

avresti letto nero su bianco il tuo abc sarebbe stato

non il metodo globale ma la crudeltà globalizzata

un planetario snuff  movie con sgozzamenti reali

e il marciume del profitto  come regista 

come  avrei potuto proteggerti dai falsi idoli

dai falsi insegnanti dai falsi medici dai falsi santoni

dai  politicanti in odore di mafiosità

 

temo saresti potuto soffocare con

il cappio dell’intransigenza.

 

 

 

nuovo anno 2016

 

il nuovo  anno gioca  d’anticipo

una  manciata di secondi e guasta la festa

pare a cinque milioni di italiani e qualche addetto

ai messaggi in  scorrimento in bella mostra

una perdita di controllo come tanti

e nel discorso di fine  anno impera un sottile non detto

con la faccia di circostanza  di chi pensa

-se vi  rivelassi la verità morireste di paura-

e allora non restano che pallide ragioni elencate

che sfumano nelle parole con  illusione di chiarezza

come le letterine a babbo natale in attesa dei doni

ma il nuovo anno marca ancora le differenze

chi aspettava il pagamento della  misera pensione

dovrà  aspettare per decreto  tre giorni - in fila prego!-

la solitudine dei singoli è abiurata nel quotidiano

ritroviamo le necessità agli sportelli e le velleità ai bordelli

mentre il magma della storia  propende per l’esatto contrario

che bello portare la follia  di un sogno ad uno sportello

ma la politica si nutre di leve economiche effettua stime

un immenso carrozzone dedito a governare processi

a celebrare ricchezze ad oscurare argomenti vitali

a snaturare i fatti vicini  per controllare il futuro

le previsioni servono per vendere al ribasso

perché tutto deve essere quantificabile

i buoni e i cattivi gli  innocenti e i colpevoli

ma brindiamo al nuovo anno in attesa che passi

no non l’anno ma quel fastidioso dolorino

dovuto alla non eccellenza dello spumantino

mi ha consolato il messaggino che anche quest’anno

non è mancato: -grazie per il magnifico anno insieme-

no non era un  ammiratore era l’operatore.

 

 

 

the storyteller (il venditore di inganni)

 

comunità processuale  incontrollabile

senza verifiche  procrastinabile all’infinito

la potenza della prova è abolita

sostituita dal pensiero narrativo

che oscura  le ragioni  che si sostituisce

e sovverte  il pensiero scientifico

un monologo  una attività monocorde

le domande  rigettate con  trapezismi

dal  moderatore vittima di un  cantastorie

uno  storyteller  un  venditore di inganni

che racconta una domanda come pretesa

una selezione umana una categoria da respingere

uno  storyteller  un  venditore di inganni

quando  i fatti da negoziare sono  violazione di diritti

e si attende che una richiesta venga vagliata

una istanza lavorata una conclusione

almeno  ipotizzata in tempi opportuni

uno  storyteller  un  venditore di inganni

per una accumulazione narrativa

alla ricerca della persuasione e del consenso

le lobby hanno terreno  fertile 

un battage pubblicitario un prodotto difensivo

da vendere come  storia da raccontare

un fumetto da illustrare

forzando la mano senza scrupoli

senza misura usando persuasione

per manipolare  alterare e finanche uccidere un diritto

lo storyteller  il  venditore di inganni

non costruisce un dossier elabora una trama

inappropriata mai  cauta mai senza menzogne

e muore un diritto e anche  tutti i diritti  esigibili

quasi  commercio con bilance truccate.

 

 

 

la follia degli uomini liberi

 

al manicomio di napoli deportarono filosofi artisti

ballerine una violinista un avvocato

al manicomio un ragazzo che amava i profumi

per correzione di una presunta devianza

una donna che morsicò un agente

mentre era in lite  col marito ubriaco

una madre si  rinchiuse  per assistere  due  figli reclusi

un grande matematico ne entrava e ne usciva

per isolarsi  volontariamente o per ordine del  regime

lunghi corridoi grate alle finestre

vagavano sguardi  muti in corpi che urlavano dentro

o masticavano parole sconnesse

o sputavano dolore e proteste scambiate per deliri

tra poveri  oggetti quotidiani e   i chiaroscuri indifferenti

urla di ordine sociale e poi urla di pratiche indecenti

silenziate nei documenti negli archivi nelle cartelle

risoluzioni  mettendo nel conto  il più debole

qui storie di vite spezzate si attorcigliano

da ogni fessura  alita fredda  crudeltà

poi  vengono crocifissi ad un letto di torture 

-legali subito!-  urla qualcuno

-bombarda  la loro vita!-   urlano oggi i potenti

-costruisci barriere dove si perdano!-

e nelle trappole  si perdono i grandi futuri  

continuano  in  fila  i deportati  umani

per garantire la follia dei liberi.

 

 

 

conflitti distributivi

 

un termine tecnico che identifica

diversi livelli di conflittualità studiati

da sociologi filosofi e scienziati di varia

identità  estrazione e militanza

nasconde  una patologia sociale dove

i detentori di capitale le imprese padrone

intaccano minacciano il lavoro  agiscono

indisturbati alla  distribuzione delle risorse

alla  mercificazione e svendita

un  conflitto che  toglie potere alle fasce deboli

mette  in moto meccanismi  di guerra

di violenza  di prevaricazione di finanza sporca

di razzismo di potere  di fame o

la perdita irrimediabile di diritti

con una giustizia cieca  seduta

dalla parte sbagliata  del tavolo  giudiziario

protagonista cavillosa e implacabile

di un affaire sociale  di un

conflitto  distributivo trasferito nei tribunali

sino all’omicidio  economico del  lavoratore

quando una sentenza sul tavolo autoptico

svela  che non sempre una ragione giuridica

è morta di morte naturale e l’ambiguità

della costruzione giudiziaria oscilla

come  pendolo tra la noia e il dolore

tanto il diritto  è un senza tetto

e nessuno ne reclamerà il corpo

o chiederà supplementi di indagini peritali

per stabilire se si sia applicato il buon senso

o l’arte della logica narrativa

o si è rimasti semplicemente  incagliati

in evocazioni sceniche tra lavoro e capitale.

 

 

 

lettera D (come Donna) 

 

la dominazione astratta del gruppo sociale

spietata e isolante spersonalizzazione

dovrebbe imporre  a tutte  una riflessione

se la massa si identifichi realmente con la vittima

o si concede e trae un brivido di piacere  dal persecutore

violentatore molestatore aggressore  di turno

santificando  ogni giorno una nuova forma di violenza

quella collettiva cumulativa verbale  orgiastica

sarà impossibile anche la definizione di  nemico

per eliminare la violenza sulle donne

si dovrà estirpare come un dente malato

quella che gli è rimasta appiccicata nella testa

purificandone il pensiero martellante e pubblicitario

se verrà rispettata dalle leggi

con rigore di  chi le fa e di chi ha il dovere di applicarle 

non ci sarebbero opinioni sfigurate di inganni

anche per quella  che nelle cronache si fa spesso carnefice

la verità abusata  miete vittime e la donna protagonista di cronache

ne esce ancora e ogni giorno ancora  una volta sconfitta

perché si neutralizzano  le vittime  esposte alle angherie e crudeltà

praticate  in settori insospettabili di connubi affaristici

filiere di interessi nascosti cuscinetti ammortizzatori di potere

quando la violenza è patrimoniale o morale eccitata 

dalle derisioni di compagni di merende fieri del ruolo di carnefici

-muori, la tua vita non vale niente!-

la ragazzina si è lanciata nel vuoto generoso  di un secondo piano

la responsabilità da accertare deve essere rapida, solerte  e sicura

i grandi non potevano non sapere intuire percepire dover  agire.

la  verità della violenza sulle donne non deve farsi  suggestionare

non  essere un lusso da femministe colte

o una questione puramente accademica con tante D

o una scusante per uomini facili alle lusinghe di minorenni

nel digitare la parola verità per me che ho problemi di vista

scrivevo  veritò veritè beritù veritè

e ancora veritù e poi veritò e finalmente verotà

non è un gioco di parole  forse è un rifiuto un reflusso acido  della mente;

la veritò è  sempre più sfumata condizionata  usata

la festa della donna  giunge a ponte di questo scritto

e forse  ammorberà l’aria  già  ammorbata del flusso di fiori gialli.

è occasione  per mettere un punto che non sarà mai pretesa

non per fingere  là nel luogo dove siamo maestre di perdoni

di edificazioni di orgogli  effimeri  a volte anche ancheggianti 

riflessione tanta tanta solitaria riflessione.

 

 

 

chiare, fresche e  dolci acque

 

il pianeta boccheggia i governi sembrano ignorare

mille persone al giorno muoiono senz’acqua

donne  versano gocce e gocce e gocce

per rendere fertile il deserto

mentre  miliardari fanno collezionismo

di pregiate bottiglie  di ghiacciai

e l’acqua pubblica viene mercificata

usata per arricchire famelici gruppi privati

che caricano di prebende le bollette

usando e abusando di un bene comune

anche  sospendendone l’erogazione

un capitalismo rapace mercificazione sfacciata

acqua  simbolo  uno status symbol

le  pregiate bottiglie da collezione

in  edizioni limitate  impreziosite da cristalli swarovshi

con il migliore involucro frutto di un sogno

elitario  di creativi con  firme prestigiose

possederle  collezionarle disporne esibirle

fonti millenarie sparse sulla terra

tra  foreste di faggi  e ruscelli incontaminati

si colonizzano ai ricchi vendendone

le proprietà minerarie presenti sessanta composti

bisognerà ripensarla la democrazia

perché la terra sia  un frutteto un campo di grano

per quei popoli affamati dal deserto

come tutti lo saremo per politiche scellerate

ma molti  hanno curato per   anni

un luogo sacro diventato arido

si chiama  terrazze  del monte carmelo

oggi  giardino rigoglioso simbolo

di speranze di bellezza di pace.

 

 

 

Berta non c'è più

 

Berta credeva nella sacralità della natura

nella sua potenza nella sua bellezza nella sua magia

che non può essere profanata dalla mano rapace dell’uomo

Berta era attivista per i diritti del popolo  Lenca

come accade in ogni luogo dove i diritti vengono annullati

dove  bande criminali pascolano indisturbate

tra  connivenze politiche e militari

la vita di Berta era minacciata lei era braccata

lontana volontariamente dalla famiglia

per proteggerla lei era tra le montagne

sacre e incontaminate ogni notte un cielo diverso

lei si teneva lontana  era  una lottatrice una luchadora

per i nativi per le coltivazioni per i pascoli  per le  loro case

Gualcarque era il loro fiume era la loro pesca era  la dea madre fertile

 la sua era una lotta  esistenziale e politica  per la  vera giustizia

non quella che si intreccia inquina depreda ammazza selvaggiamente

così come selvaggiamente lei  è stata uccisa

Berta era sola

era diventata scomoda era colei che aveva carisma

diceva che il fiume le avesse sussurrato

che avrebbe vinto la sua battaglia

il fiume  sapeva i fiumi sanno  

perché se è vero che gli eroi si uccidono a fucilate

nel frattempo un cavallo ha spezzato le catene.

 

 

 

la città dolente

 

i viali assolati e le frescure interne

un  corpo pulsante

il colore misterioso delle rose

sembra pergolato  umano

là dove conviene  ogni negazione

e si sospetta del sospetto

un via vai paziente

lacrime nascoste da timide fermezze

intenzioni che non nocciono all’abisso

che hanno l’infinito per capitolare 

il tempo  è friabile

nelle sale d’attesa nelle sale operatorie

per le corsie  tra luci artificiali

evapora  il tuo sole

la illusione   un costruttore impaziente

si vede negli sguardi  nei vezzi

negli attrezzi  portati come bandiera  

commilitoni al fronte senza gradi

senza parole sprecate nel fossato

tutti conoscono la divisa del nemico 

due giorni e sei parente più del sangue

un caffè un biscotto  e  addii

anch’essi provvisori nell’aria asettica

smarrimenti ben custoditi

non li trovi ovunque

ognuno   geloso di dolori di  ribellione

e sulla panca grigia attendo

a presto

a dopo

a sempre.

 

 

 

c'era una volta un campo di grano

 

zolle di terra

impastata del sudore dei padri

dei nostri padri

una lunga schiera di amori

conditi con la fragranza irripetibile

dell’infanzia sfrenata di corse di fragole

un uomo sorridente

lo ricordo sul calesse

incita il cavallo con la frusta

alla vista di bellezze muliebri

patriarca di una tribù

arreso alla soglia dei cent’anni

solo per  stanchezza

o forse per le croci dei figli

morti nelle guerre degli altri

per la compagna

schiantata presto dal dolore

la zia segnata

dalla febbre malvagia

che non l’ha vinta

segnandola soldato della terra

intima solitaria ostinata

una guerriera su campo di pace

disertando solo per la caccia

imbracciando un fucile fatale

alle prede tra i boschi

amore per i chicchi di grano

segnavano vite  stagioni  morti

nuovi progetti come nuove semine.

la frenesia di modernità abbandonava

la gestione stanca e  lontana

dal giallo del sole e dalle spighe

usate per ornare ambizioni al neon

ma l’orgoglio riprende consistenza

la sapienza dei nonni vivifica le zolle

un percorso inverso

cammino di memorie  

e si ripropone il grano

tra passioni antiche e orgogli

e semi dimenticati

per la voce senza eco dei campi

zolla dopo  zolla

sollevando irrigando speranze

seminando futuro mite

orgoglioso di ritorno alla madre

alla bellezza della spiga

che contende il colore alla  sorte

alla buona sorte. 

 

 

 

 stupro accademico

 

la brutalità

per usare qualcosa

che non ti appartiene

rubare una vita

un progetto un sogno

più o meno realizzabile

infatti si chiama sogno

qualcosa di inatteso

che capita

mentre  stai facendo un’altra cosa

stai vivendo la tua vita

bella o brutta che sia

soddisfacente o insulsa

eroica o decadente

povera o ricca

malata o sana

ti precipita in una nebbia

stagnante e densa

che ti rende paraplegica

priva di ogni stampella

non hai avuto tempo di attrezzarti

e giri tra carichi

oscillanti sulla testa

pronti a schiacciarti per risucchiarti

nel gorgo di melma

nero come la pece

sudato come lardo

sommerso come sterco

ineluttabile come l’abitudine

dopo il salto dalla virtù

lo stupro

violentando

parole di sapere declinato

dottrine di fede e di rigore

alla curiosità alla scienza

alla ragione o alla irragionevolezza

 della forza creativa

divenire a portata dei saggi

con un pizzico di follia

scalatori che vanno alla vetta

con occhio al chiodo

fissato nella roccia

fino al prossimo passo

fino all’esaltazione

di guardare la finalità dell’impresa

potenza delle parole

che non mente di significati

che non si vergogna

che non tradisce altro

onestà priva di pregiudizio

che smuove l’interprete

dalla idea priva di analisi

portandolo alla fase  innocente.

avanti la verifica

prima che la parola  diventi parola falsa

prima che la parola da falsa diventi abitata

da dogmi di verità

comuni a tutti banalizzata

dallo stupro.

 

 

 

rivoluzione e diritto

 

mi attraversano fulminanti nella loro perversione

si insinuano tremanti come una gelatina di fragole

non voglio assaporare la menzogna pietosa

vorrei già aver vissuto la notte dello scarabeo

accompagnata dal profumo di cedro che adoro

penso agli uomini che lasciano la buona volontà

bruciata nelle calorie obese negli incensi salvifici

nella dimenticanza dei pianti per i loro dolori

sterili della compiacenza per il prossimo respiro

nelle  parole sfregiata dagli inganni da circo

ricordare il dono delle leggi nei giorni  della

festa per una nuova rinnovata pentecoste.

 

 

 

senza "d" di diritto

 

ci sono uomini che cancellano colori

che scrivono contorni scomposti

che  mettono nel sacco come

incubi miagolanti che possono 

atterrare su  silenzi complici

su prati di coscienze senza giornate

interrogativi  ammalati e annoiati

che riflettono il niente in un compiuto

ci sono uomini che vestono pretese

ci sono uomini che brigano per viltà

ma anche quelli che fingono cecità

che guardano orizzonti segnalati 

soluzioni compromesse come argille

informi e  irrisolte nelle mani

cecchini che ammiccano a festini. 

 

 

 

parole 

 

ci sono forme di violenza

che  costringono a riflessioni

non sono quelle fisiche

di predominanze e di forza bruta

sono quelle di insulto intellettuale

quelle che tendono  a delegittimarti

a oscurare quello che affermi

contrapponendo volumetrie maschili

come una  ridondante obesità genetica

quello che scrivi nel tuo lavoro quotidiano

viene sottolineato come una prova di imbarazzante

revanche di genere o d’isteria  puntigliosa

se l’avversario scrive  norcinate

estese in cinquanta pagine romanzate

se appare una sceneggiatura

autogestita insidiosa  fuori regola

sei frastornata non sai

se dargli lezione di sintesi maschile

o di garbo femminile ricamato

punto su  punto con la pazienza

che compete ai forti delle proprie ragioni

scontate e sacrificate nelle incubazioni

di secoli  e delle pietre levigate dal sangue

raccontandogli quello che dicono i saggi,

ma anche testimonianze dei padri delle parole

alle quali attingere sapienze

che non dovrebbero essergli ostili

devianze  di genere o sordità di poveri di spirito

le cose diventano complicate

e punto su punto le parole dimostrano

crociate di infedeli becchini di parole assordanti

vomitate tra  rigagnoli  impuri

ma i maschi si parlano tra loro

sempre in punta di qualcosa

non serve individuare l’arma

uno sberleffo  o una spada

una  pietra o altre armi

che sanno di nascondigli  indecenti

a volte assumono forme  carnivore

si sommano generi diversi

una coalizione piuttosto  leziosa

tra  dopobarba e inchini repressivi

ti accorgi che nulla si può dire

veramente cambiato nelle guerre.

 

 

 

stalking e stato

 

un cerchio stringente mi avvolge

colore delle sbarre arrugginite

con i grigi  uniformi delle divise

dei tiranni che giocano barando

il pensiero unico immutabile

che indossano i benpensanti

che esibiscono i mandanti

anche quelli delle rapine sono così

una maschera sulla bocca

e i denti- dadi scomposti -dalle parole

sussurrate nelle aule segregate

un campionario indefinito di lupi

che parlano guardandosi i piedi

che usano  lisciarsi  di  pelo

perché non conoscono la libertà

e credono di doverla regalare

di doverla detenere per erogare

distillata come una grappa

per poterla spacciare come spirito santo

si ubriacano nei palazzi e intanto

si formano codazzi di uomini

che annusano gli umori della

prigionia altrui misto di sangue

tra odore  di catrame l’odore delle sbarre

sono una testimone di ingiustizia

che cancella l’oggi ma anche il domani.

 

 

geriatria e democrazia

 

una geriatria della democrazia

stabilizzata su malattie croniche

del sistema come un processo

di invecchiamento di degenerazione

lento  e inesorabile fino al punto

di non ricordare più il vigore che

ha accompagnato la salute per anni

forse anche  imperfetta  ma limitarsi

all’assenza di uno dei tanti dolori  persistenti

che ti colgono anzi ti accolgono

a tua insaputa e all’insaputa del corpo

geriatrico il corpo delle leggi tante

e non basta istituire  nuclei speciali

per rigenerare commissioni annose

e polverose ma stipendiate per respirare

il cosiddetto diritto e farne pulizia di primavera

non sopravviverà al malato

la cronicità è un dovere vitale

una autodichia di sovranità necessaria

poteri speciali per un disegno speciale

ogni tanto un lifting e raggi uva a volontà

che si nutre dei sogni nel frattempo divorandoli

come speciali gli ammalati del  corpo sociale

sudato e bisognoso e miserevole di carità

che ha bisogno della cronicità della miseria

per poter essere salvato

delle cure per poter essere manovrato

ha bisogno dei bisogni per desiderarli

ha bisogno delle raffinate cucine

con raffinati cuochi e raffinati ingredienti da cucinare

per desiderare la pasta a offerta speciale

come  una democrazia ad offerta stracciata.

 

 

 

clandestina al sistema

 

perché sono qui

esposta pubblicamente in un riquadro senza storia?

non ho voluto aggiungerle

loro  devono raccogliere una esigenza

dovuta allo stato delle cose ineludibile.

al fogliame che  sconvolge il nostro esistente privato

una pulsione antica  di isolare blandire

per  finte soluzioni di facciata

molte ne prendono le distanze forse  a ragione

pure è una  urgenza  far sentire

un punto di vista un peso  una voce

oggi rimane ancora un dovere

diversità rispetto alle omologazioni di massa

creatività  versi  progetti

scontrati con una chiusura a riccio

devi essere accettata  sgrezzata

qualcuno ti deve dare la patente di cittadinanza

senza considerarti clandestina al sistema

senza voce  allora l’obbiettivo è fallito

inutile qualsivoglia  iniziativa

marchiata di inutilità strutturale

le voci si affacciano sul mediterraneo

bambine e  donne in  un sistema isolante.

 

 

 

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ultimo aggiornamento/pubblicazione   10 gennaio  2019