graffi

 

 

 

  home  chi sono      il magazzino   teatropoeticascrittiil blog

 

 

 

                                                                              franchini - le mani (carmela)

 

 

 

graffi

 

 

 

mercenari

  

vecchi mercenari

sazi di se stessi

introducendo nelle orecchie

registrazioni  degli abusi

per mormorarsi ragioni vermificate

per memorizzarle  e ricordarle

sputando sulle prede

abusando con perversa pedofilia

le idee vergini

che non hanno considerato

le donne che non hanno amato

gli dei che non hanno avuto.

 

 

 

la dea verità

 

ti ho eretto eroina bastarda

al tepore di lingue di fuoco

ti ho guardato negli occhi

quando tu  mi ignoravi

per spingerti allo scoperto

a rivelare la tua vera natura

rivoluzionaria e ingannatrice

tra pianto riso e urla nascoste

masticando fiele come fragole

fermando lacrime artificiali

nascoste tra cosce vibranti di seta

tra cumuli di idiozie vere

ti ho preferito ad ogni peccato

tu sei la somma inconfessata

la santa delle stimmate

la strega  che urla sul rogo

tu sei la verità delle spine

reciti a soggetto tra  occhi socchiusi

perché per intero ti frantumi

nell’inganno e nella pigrizia

nelle biglie  colorate di vermi

che ti colpiscono nel dormiveglia

quando file di bugie bussano

indiscrete tra torpori e rinvii

sei una dea implacabile

sei la mia eroina dormiente

la terra di conquista

una vecchia butterata

che inganna alla  luce dorata

che rinnova  fede e coraggio

sei la scelta che consuma

fino all’incenso 

sei signora di tempeste

che veglia sulle scaltrezze

come  un gatto

affamato di lusinghe

che si muovono tenaci

come un corpo vivo

liberato da legacci  untuosi

mi puoi possedere

come possiedo la geografia

della mia pelle.

 

 

 

la prova del nove

  

voglio essere me fino alla fine

con gesti contenuti alle lusinghe

con la prova del nove incorporata

con curiosità immutata custodita

nel palmo della mano che tendo

nello sguardo che catturo

che trattengo nelle mie brame

voglio sentire la chimica come

una ricercatrice instancabile

cerca l’ultima formula.

 

 

 

alla storia

  

qualcosa che è dentro di te si frantuma  alla storia

il suonatore  è esente dagli incubi notturni

si nutre di se e gorgoglia le sue note sputacchiate nella tromba

ansima senza il  vero piacere che libra di energie

guarderà compiaciuto l’effetto e si crederà creatore

sarà prigioniero di  arcobaleni tristemente opachi

si nasconderà sotto ogni mantella protettiva

diventerà sempre più audace al caldo delle lusinghe

prometterà soluzioni  allocazioni  destinazioni

oscenità nelle pieghe di qualsiasi veste

tripudierà alle orecchie che si calano per ascoltarlo

parole macinate  elaborate liberate in vomiti

onori alla sua alta sapienza

portavoce del vecchio con il pene esposto

colorato di rosso o bianco fintamente infiocchettato

che nessuno avrà toccato addormentato

tra  fiamme dell’inferno conosciuto

una lucertola costretta ad abitare un camino

qualcosa che è dentro di te si frantuma  alla storia

qualcosa che è in ginocchio impertinente

ti logora le giunture

 

 

 

ragionieri e poeti

  

vado a sbirciare  cose scritte

che diventano spore da rimuovere 

sono diventata gelosa dei miei pensieri

o questi sono diventati irriferibili

così un nuovo inizio di fronte a un foglio bianco

leggo e la vera notizia sono  i commenti

per conoscere il popolo che ieri ho visto

riverso per le strade una fiumana straripante

con la maschera mortuaria di cadaveri  con il foglio di via

che mangiano patatine fritte

unici negozi affollati dopo i cimiteri

accanimenti di ogni specie e non è il mondo di mezzo

è il mondo  inesplorato e fatiscente

di condanne preventive di invettive di faide familiari

contro una fragile ragazza già perduta

nella orribile qualsivoglia  verità ma non ancora condannata

e pensieri lontani da soggetti già colpevoli

anche senza sentenze senza appelli

sul fronte dell’isolamento e della solitudine

della depressione il nulla il vuoto il niente

tra testi sapienti  in mano a ragionieri

per non parlarne che cinque minuti ogni volta

e si leva un sasso a deviare l’utilità di un poeta.

 

 

 

muro di berlino

 

filamenti si attorcigliano lentamente

e tracciano forme immaginarie e rare

decidono  di disegnare minuziosi

percorsi schivando terre e paesaggi

le persone invisibili vivono internate

una vaga idea di persone un rantolo 

un enorme grattacielo con finestre

con  facciate disegnate con l’idea

dell’ultima frontiera sulla vita esterna

un muro di berlino  ripiegato

fatta di case anzi della loro idea possibile

con davanzali dove nessuno si affaccia

non c’è forse  nessuna fantasia in proposito

per un cortile interno vuoto visibile dall’alto

con mattoni bianchi dell’idea dei colori

con inferriate dai toni scuri del ferro

una semplice ma sostanziale idea ossidata

chiudo la visione  torno  in luoghi noti.

 

 

 

festini

 

ci sono uomini che cancellano colori

che scrivono  contorni scomposti

che  mettono nel sacco come

incubi miagolanti che possono 

atterrare su  silenzi complici

su prati di coscienze senza giornate

interrogativi  ammalati e annoiati

che riflettono il niente in un compiuto

ci sono uomini che vestono pretese

ci sono uomini che brigano per viltà

ma anche quelli che fingono cecità

che guardano orizzonti segnalati 

soluzioni compromesse argille

informi e  irrisolti nelle mani

cecchini che ammiccano a festini. 

 

 

 

effetti speciali

 

qualcuno ha bisogno della mia morte

per continuare a vivere

qualcuno attende che la morte

mi sorprenda senza effetti  speciali 

qualcuno ha bisogno dell’attesa

della mia morte

per continuare a sperare

qualcuno ha bisogno di

tenermi in vita artificiale

per respirare a piene mani

qualcuno mi crede già morta

e ha bisogno di certificarlo

negli obiti  affettati di muffa

nelle storie sfibrate  dal tempo

qualcuno vorrebbe ammazzarmi

per dire finalmente è morta

qualcuno ha bisogno di credere

che sia morta per tenere in vita

la sua vita artificiale

qualcuno finge che la morte

mi aspetterà ancora  nelle trappole

predatorie sparse da finti innocenti

qualcuno aspetta la sua stessa morte

per liberarsi della vita apparente.

che si specchia all’infinito

nella cornea  cieca dei tempi.

  

 

 

laboratori

 

la nebbia della notte si dissolve

residuano gocce che sembrano

cristalli di rocca solidi e irreali

creatività da laboratorio

la luce prende il posto della notte

i fiori e le erbe si rimettono l’abito smesso

ci sono riflessi del colore delle ostriche

la  melma è solida

asciugata dai raggi del sole

ognuno esegue segretamente un lavoro

tra incubi pentiti che sognano clemenze

i magistrati non sono i miei giudici

e i giudici non sono i miei carnefici.

 

 

 

misteri in scatola

 

seduto come un bambino diligente

tra i banchi di scuola o in castigo

sulle ginocchia una minuscola scatola

bianca con disegni gialli 

la scritta sul lato è coperta

dalla  mano ostinata e rigida

che stringe  un  coltellino

e inizia a scalfire un punto piccolo

fino a farci un foro  minuscolo

ha sollevato il piccolo lembo

di cartone e lo poggia con cautela

sul bordo del finestrino di lato

un viaggio in treno seppure breve

può forse soffocare un criceto?

dalla scatola silenzio tombale

termina  il primo  e comincia

a lavorare altri  fori

una sintassi  perfetta di pensieri

allineati come una parata

potrebbe contenere un paio

di scarpette per un bimbo?

lo osservo mi pongo di fronte

appena il posto si libera

una curiosità  partecipata

segue la sua urgenza di scalfire

uno dopo l’altro le sue geometrie

alla fine sono quattro  buchi verticali

e un sollievo silenzioso  rilassa

e placa le ansie controllate

otto buchi orizzontali e otto centrali

ripone il coltellino

è  un giovane uomo

bruciato dalle lampade uva

porta sulla mano ben tornita

anch’essa brunita di finto sole

una fede nuziale

che luccica come nuova

come una promessa d’amore

appena ricevuta

indossa un giaccone scuro

ma non nero  è come il colore

del caffè tostato e ha caldo

si comprende dalla fronte imperlata

la giacca è di tessuto rigido

e la indossa come una necessità

tra  ghiacci polari ostili

guarda il risultato del lavoro

e riprende le imperfezioni

che sono solo a lui  note

con il dito mignolo

finisce di arrotondare i fori

forse ritiene necessario fare

un buon lavoro un ottimo lavoro

l’operazione lo  impegna

come una gara mortale  impegna

un corridore sull’orlo del traguardo

è  rigido e concentrato

i muscoli del viso guizzano e si contraggono

appassionandosi all’opera

mi risveglio dalla curva dei pensieri

giusto per scendere  ecco la mia fermata

vorrei salutarlo anche un breve cenno

un sorriso accorto e discreto

come in uso tra i viaggiatori

ma rimane assorto nel  suo mondo

non saprò mai cosa conteneva

la scatola con disegni come un cartoon

nascosto  agli occhi del mondo

ma  forse anche a lui.

 

 

 

bottino di guerra

  

una donna ti  ha trattenuto

nelle sue viscere calde

per mesi cullato e nutrito

al calore tiepido dei sogni

una donna alle prime luci

ti  ha preso tra le braccia

accarezzato e ammesso

alla fonte dei misteri salati

una donna ti  ha protetto

dalle insidie come un eroe

senza ornamenti di eroi

una donna ti  ha incoronato

maschio senza parole

una donna ti ha mostrato

le virtù del sapere sillabato

una donna ti  ha turbato

spezzando il tuo  cuore

che credeva  di acciaio

una donna di gioie intime

e di grazia ti  ha incatenato

con ninna nanna sussurrate

per scorticare il  vuoto

di un mistero replicato

una donna ha pensato 

che il  luccichio di lame

fossero  solo colorate di  mercurio

una donna ti  ha consegnato

come un bottino di guerra

promesso al suo nemico

una donna è morta

di una morte annunciata.

 

 

 

spirito santo

 

un cerchio stringente mi avvolge

colore delle sbarre arrugginite

con i grigi  uniformi delle divise

dei tiranni che giocano barando

il pensiero unico immutabile

che indossano i benpensanti

che esibiscono i mandanti

anche quelli delle rapine sono così

una maschera sulla bocca

e i denti scomposti dalle parole

sussurrate nelle aule segregate

un campionario indefinito di lupi

che parlano guardandosi i piedi

che usano  lisciarsi  di  pelo

perché non conoscono la libertà

e credono di doverla regalare

di doverla detenere per erogare

distillata come una grappa

per poterla spacciare come spirito santo

si ubriacano nei palazzi e intanto

si formano codazzi di uomini

che annusano gli umori della

prigionia altrui misto di sangue

tra odore  di catrame l’odore delle sbarre

sono una testimone di ingiustizia

che cancella l’oggi ma anche il domani.

 

 

 

alla stazione

 

alla stazione tra fumi di sogni

e vapori che si mescolano alti

le luci sembrano fiori decapitati

i pensieri inebetiti sembrano

fantasmi che osano palesarsi

un palcoscenico improvvisato

si vocifera di una rappresentazione

serpeggiano itinerari  mentre

gli altoparlanti tacciono come

all’inizio di un concerto solo un brusio

gli orchestrali  in attesa di accordi

gli attori spinti  sono ora sulla  scena

non sanno la trama non ancora

compaiono sonagli da commedianti

smarriti molti non ricordano perché

sono lì e non altrove nella loro vita

qualcuno sussurra che non arrivano treni

altri che sono stati soppressi 

ma arriveranno con un  nuovo ordine

e un direttore di scena pretende

silenzio silenzio silenzio silenzio.  

 

 

 

becchini di parole

 

ci sono forme di violenza

che costringono a riflessioni

non sono quelle fisiche

di predominanze e di forza bruta

sono quelle di insulto intellettuale

quelle che tendono  a delegittimarti

a oscurare quello che affermi

contrapponendo volumetrie maschili

come una  ridondante obesità genetica

quello che scrivi nel tuo lavoro quotidiano

viene sottolineato come una prova di imbarazzante

revanches di genere o d’isteria  puntigliosa

se l’avversario scrive  norcinate

estese in cinquanta pagine romanzate

se appare una sceneggiatura

autogestita insidiosa e fuori regola

sei frastornata non sai

se dargli lezione di sintesi maschile

o di garbo femminile ricamato

punto su  punto con la pazienza

che compete ai forti delle proprie ragioni

scontate e sacrificate nelle incubazioni

di secoli  e delle pietre levigate dal sangue

raccontandogli quello che dicono i saggi

ma anche testimonianze dei padri delle parole

alle quali attingere sapienze

che non dovrebbero essergli ostili

devianze  di genere o sordità di poveri di spirito

le cose diventano complicate

e punto su punto le parole dimostrano

crociate di infedeli becchini di parole assordanti

vomitate tra  rigagnoli  impuri

ma i maschi si parlano tra loro

sempre in punta di qualcosa

non serve individuare l’arma

uno sberleffo  o una spada

una  pietra o altre armi

che sanno di nascondigli  indecenti

a volte assumono forme  carnivore

si sommano generi diversi

una coalizione piuttosto  leziosa

tra  dopobarba e inchini repressivi

ti accorgi che nulla si può dire

veramente cambiato nelle guerre.

 

 

 

canuto

 

ti intravedo

nelle vanità del corridoio

canuto più di ieri

sembra un gioco di varietà

quando il comico adegua il passo

a fare  l’ombra di altra comparsa

per allontanarsi dal palco

ora fingendo una conversazione

ora una risata troppo sonora

ora un abbraccio zuccheroso

si misurano carriere

una finta catena di solidità

tra corrimani neri calpestati

il sole è  un’ipotesi

sta forse fuori dalle mura

dentro è  suggestione

la tua ondulazione ritmata 

danza sulle tue certezze sconnesse

va di pari passo al tuo sguardo altrove

canuto più di ieri

ipocrisia muta e ostinata

parli al buio di segreti

per riferire della   febbre

della fame della sete delle allucinazioni

sei canuto più di ieri.

 

 

 

intelligenze

 

sono alla ricerca di buone ragioni

ragioni solide da contrapporre

al vuoto che uccide che ti percuote

come una malattia che non sai di avere.

se mi dicessero che stanno salvando

l’umanità da un attacco alieno o da una

ferale e minacciata  guerra batteriologica

capace di sterminare  uomini  e cose

se mi dicessero che sono già fra noi

i nemici dell’umanità ben nascosti

tra  poteri  nazionali e internazionali

capaci di orientare e finanche ricattare

se mi dicessero che serve tempo tanto tempo

per scovarli e tentare di neutralizzarli

fingendo nel frattempo  di secondarli

se mi dicessero che stanno negoziando

giocando una vigilata  partita

dove la posta di  umani  da sacrificare

un centinaio qui  un centinaio lì

serve  per salvarne milioni di altri

se mi dicessero che di fronte

a pericoli e minacce di ogni genere

con capacità  di inoculare semi

di violenze omicidi e perfidie 

si sta lavorando di intelligenze

fingendo una piatta svasata  normalità

allora solo allora, potrei rassegnarmi

al  quel vuoto   che uccide che ti percuote

come una malattia che non sai di avere.

 

 

 

tramontana

 

attraverso i fili

una violenta tramontana mi sferza

il rumore assalta e  si frange

al buio del temporale

si scheggia sulle alture ibride

che non incoraggiano rese

mentre  spalanco gli occhi

sui fragori dei piccoli regnanti

una tristezza infinita ricopre

la pioggia che debbo consolare.

 

 

 

oggetti smarriti

  

dimenticati

quando il tuo  coraggio

offende la viltà degli altri

e non c’è ragione per falsi pudori

quando la forza delle emozioni

è accecata da idoli di cartone

consumati sulle ceneri di cuori

e non c’è ragione per consacrazioni

appartieni al popolo  dei dimenticati

forzati delle consumazioni

ammaliati dalle collezioni

intruppati tra le streghe bagnate

e false beghine gonfiate

in fila per l’ultimo capo firmato

un circo equestre dove sei l’asino

piagato lasciato senza paramenti

a coprire altrui vergogne

tra i dimenticati.

 

 

  

suonatori di strada

 

la gente passa

in attesa di un babbo

che sia di natale o altro

così bambini

feriti  e mascherati  da vecchi

un suonatore di strada

che  sembra trattenere tutta

l’aria che lo separa dall’est

poi dolcemente

la soffia nella tromba

tutta fino all’ultima nota

che sembra  rinunciata

quella che cattura

con la maestria

posseduta a dispetto

di tutta la polvere. 

 

 

 

block notes

 

sono venuta a trovarti ma tu non c'eri

vado via per la solita strada

tra ronzii di mosche accaldate.

devo percorrere un sottopasso

la stazione è solitaria sporca impervia

il fetore di  urina stagnante si immerge

in  un buio inquietante scandito da un rumore sordo

un ribollio come un sudore di acqua

non sono inciampata ritorno alla luce sono dall’altra parte

sento rumori di campagna un trattore lontano

uccelli si spostano stancamente da  un ramo all’altro

sembra  si scambino brevi visite di cortesia

mi chiedo se portino  omaggio  

piccoli insetti  trattenuti nel becco

nella carrozza  cerco un foglio su cui scrivere

di fronte lui  apre  un  borsone  azzurro

tra le mani stringe  due piccoli block notes  blu e fucsia

con fare ispirato scrive  su ognuno  solo un rigo e mezzo

la grafia è ridondante  come parole leggermente gonfiate

ripone  i block e tira fuori un quaderno

rosso  consumato di appunti su ogni pagina

trovo un foglio su cui scrivere frasi già consumate da pensieri

sono venuta da te …  ma tu non c’eri  …ti ho fatto un’intervista

occhieggio sui fogli la vista annebbiata  sono due gocce di anice

inserisce una parola ogni mezzo rigo che trova scoperto

accompagna l’operazione con una smorfia uno spasmo di parto

parole  macinate  arrotondate  ripensate

per poi  esplodere nero su bianco

raccolgo parole che mi parlano di te  

leggo in  maiuscolo “Film 17 13” a seguire sigle e numeri

mi convincono che non sei uno scrittore

forse  un doppiatore che sta preparando pause  emozioni  sospiri

forse hai una voce melodiosa

sul  corpo allampanato  un collo esile

ripenso  agli esperimenti di  Strindberg

dovresti conoscere August percorreva  strade

ed era incuriosito da luoghi e persone fantasma

dava al suo percorso un tempo una storia una resurrezione  di sguardi

un andare e un tornare  mai un rifiuto

arroccato un non giudizio stagnante

“Solo” descrive un tratto spirituale

così  intenso da dare alla solitudine

una spiegazione colloquiale una domanda una risposta coinvolgente

si allontana  il suo  sguardo non ha sfiorato esseri viventi o inanimati

una signora cade sulle scale mobili

mentre la sua sagoma si dilegua

una testa mostruosamente piccola

appoggiata su un collo sottile

forse in un altro luogo

in un rigo e mezzo scriverà  compostamente

ho sentito un urlo di donna  non posso sapere perché urlasse 

in effetti  era alle mie spalle. 

 

 

 

corvi

 

giustizia

di corvi di cartone

tra pullover di cachemire

e cravatte marinella

quando le suppliche

diventano mercede

quando il coraggio

offende la viltà

e non c’è ragione

per falsi pudori

quando la forza

è delle emozioni

e non c’è ragione

per consacrazioni

forzate dalle consumazioni

ammaliate dalle collezioni

intruppate tra false beghine

e maghi fradici

che adescano infamie

sussurrando in alcove.

 

 

  

punteggiatura

 

serve per scandire il tempo

come una nota una pausa

una riflessione e finanche

una meditazione

ognuna vive di vita propria

un punto è una  definitività

ma solo temporanea

sembra dire  è così almeno per ora

riprendi fiato poi  ti dico

una virgola è un sospiro

come un tono più basso o più alto

quando si dice: “ti adoro ma non dirlo in giro”

un trattino è pomposo  una specificazione

che ti aspetti da chi è professorale

autoreferenziale  anche un po’ sciocco

e poi il punto e virgola

è un lasciarsi e riprendersi

un discorrere dove non c’è mai

o almeno non ancora

la definitività della fine

puntini  puntini  puntini

loro li adoro.

 

 

 

la mia forza

 

non ho paura di misurare

la mia debolezza

la conosco

e posso dosarla

gestirla

combatterla

perfino nasconderla

mi fa paura la forza

che mi attribuiscono

i nemici

perché non sapranno

dosare e padroneggiare

la prepotenza

l’arroganza

la menzogna

l’abuso.

 

 

  

ispirata da un altro  novembre

 

non sai nulla di me e della mia vita

se non averla odiata sulle sagome

o mangiando polvere  di zolfo

nelle luci sfavillanti ti guida morboso

il sogno di  una vita da ridurre in brandelli

e a novembre la seppellisci

senza che nulla tu voglia  saperne

non mi dai  tempo di guardare i tuoi occhi

forse ci siamo  incrociati sotto il ponte dei saggi

Bir Hakeim  ha mischiato  il  mio e tuo sangue

passeggiando sulla Senna ti guardavo

senza temere  la tua anima  fredda

mentre arrivi senza passi

vestito di  nero quello cieco delle condanne

un verdetto deciso altrove e tu vai

a brandire la mia croce e quella di chi sopravvive

un dolore  senza note senza un perchè

perché a novembre hai deciso di seppellirmi il  futuro

gli odori insopportabili la musica febbrile

vai via senza passi  senza meta

quieti  lumini  si commuovono

inteneriscono le tenebre  a novembre

hai ucciso 

per caso nel mucchio nella storia nel buio

hai seppellito la mia vita e la tua scelta

a novembre.

 

 

 

bassifondi

 

tra occhiate e offerte  ingiallite

pensieri vaghi si approfittano di me

senza distogliere lo sguardo

alle ore cinque  ti faccio una promessa

ma non te ne  metto a parte

non so ancora

se le tenebre mi schiacceranno le ossa

scrivo al buio

memorie dalle cisterne e dalle spezierie

mentre fuori si alternano  

i bassifondi di pensieri osceni

sputati nella via

da un mercato di sensali

di un  banco   privilegiato

più vicino all’orinatoio. 

 

 

 

l'appuntamento

 

rigida come la pietra dove siedi

accartocciata nella tua domanda

gli piacerò sarò la risposta ai desideri?

delle  vostre  notti uguali e solitarie

avete  sterminato parole e forse

ne  cerchi qualcuna  arrestata 

nei suoi  occhi  sornioni

che sfuggi come una condanna

lui ti tiene una mano come

un medico che ti segue il ritmo

tu sei estenuata dall’esame ti crucci

vorresti segretamente un voto con lode

parli come davanti a uno specchio

lui allo stesso  specchio si piega

vorresti  la reggia che hai girovagato

la pioggerella sottile è tua alleata

un  bacio sulla guancia

e vi allontanate in un arrivederci senza domani

resto a guardarvi lui guadagna velocemente

la metropolitana  con finto passo felpato

tua una ritirata al suono di marcetta

di chi si allontana dal luogo del delitto  

nessuno dei due ha cercato lo sguardo dell’altro

nessuna luna nessun orizzonte nessuna curiosità

lui un cassintegrato tu ancora precaria

una vita spartana con la testa nei libri

lui  aveva preso un treno sentendosi al sicuro

lo hanno  scaricato a metà percorso

tu  avevi cambiato l’orario di partenza

tanti lividi  unici compagni comuni.

 

 

 

TORNA A POETICA

 

 

 

ultimo aggiornamento/pubblicazione 10 gennaio 2019