il lungo fiume azzurro

 

 

 

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 il lungo fiume azzurro

 

 dramma in un tempo

 

 

 

(ispirato dal martirio di Nanchino – 13 dicembre 1937 –

 dedicato agli oppressi di ogni tempo)

 

dramma in un tempo

 

 

persone

 

Maria Mancini

(l’aristocratica)

Olympe De Gouges

(la rivoluzionaria)

Louise Michel

(l’anarchica)

Ping’ än

(la violata)

 

prologo ed esodo

Marguerite Porete

(l’eretica)

 

(La scena si presenta spoglia. Le persone indossano ciascuna una maschera e una tunica di diverso colore: Maria Mancini, verde smeraldo; Olympe de Gouges, bleu; Lousie Michel, nero; Ping’ än, giallo oro; Marguerite Porete, rosso fuoco. Maria Mancini porta al collo una vistosa collana di perle. Ping’ än ha tra le mani un remo per pagaia.)

 

 

I^ SCENA

 

PROLOGO

 

 

MARGUERITE (sola in scena, allontanandosi dopo aver pronunciato il prologo)

Molte anime si incontrano.

Amano consolarsi tra esse. Trovare ragioni alla vita che non hanno vissuto, alle imprese non realizzate, ai destini che potevano essere e che hanno abbandonato.

Di sè adorano la presunta integrità, le brevi sofferenze di cui si dichiarano vittime.

Non hanno conosciuto le vie della unione. L’agape in cui il desiderio si annulla. Per preparasi alla vicinanza di amore.

Io, Marguerite Porete, la beghina, lo feci. Ma fui dichiarata eretica e messa al rogo.

Altre mi avevano preceduto e fui certa, tra le fiamme, che altre mi avrebbero raggiunto.

Tra percorsi accidentati. Ricercati figli di un ragionare e di un desiderare che conduce l’anima esitante alla lotta.

Per abbattere i pensieri laterali di tonache e cortigiani -finanche di accademici- che, con malafede, reprimono le proprie e le altrui coscienze.  

Oh, sì! Qualsiasi sia la fede, il cammino di perfezione è costretto alle gerarchie. Ai divieti ad essere puri nelle emozioni e nelle azioni.

 

 

II^ SCENA

 

 

PING’ ÄN (entra da una quinta e vaga per la scena, ansimando)

Che ci faccio qui? Debbo  cercare mia figlia … l’hanno vista correre alla zona di sicurezza … era terrorizzata … urlava … il quartiere è bombardato … i soldati non danno tregua … ci braccano … non c’è né cibo né acqua … Lin è scappata … le ho detto di restare con me ... ha fame … debbo cercarla … bruciano  …  distruggono  … … anche i templi … dove è Lin? … tutto è perso … (grida) Lin! … Lin! ...

Dove sono? Qui tutto è luce. È una cerimonia? Cosa si celebra? Ditemi! È una trappola per illudermi? Per dannarmi di più? Ditemi! … ditemi, per pietà … sapete dove è mia  figlia?

 

(entrano dalla quinta opposta Louise, Olympe, Maria, attorniando Ping’ Än)

 

LOUISE (ruvida)

Sei nella storia. E la storia è incerta.

 

OLYMPE

Come ti chiami?

 

PING’ ÄN

Ping’ än.

 

OLYMPE

Di dove sei?

 

PING’ ÄN

Sono cinese, di Nanchino.

 

OLYMPE  (curiosa e gentile)

Oh ... cinese? Noi in Francia amiamo la Cina. Così lontana e così misteriosa, affascinante. I viaggiatori ci raccontano di voi come di un popolo cortese e cerimonioso; molto legato alle tradizioni. I souvenirs che ci mostrano sono deliziosi. Noi francesi siamo diventati golosi di cineserie …

 

MARIA (concedente e sofisticata)

Il thè. Che tisana prodigiosa! Ci ubriachiamo del vostro thè.

 

OLYMPE

Dimmi. Che vuol dire il tuo nome?

 

PING’ ÄN

Pace.

 

LOUISE (riprovevole)

Pace? Il tuo nome ti porta a cercare pace tra i più feroci dei despoti. Tra i saccheggiatori. Tra i condannati a morte. Tra gli eccidi. Tra gli abomini.

Preparati a combattere, piuttosto!

 

PING’ ÄN

Io cerco Lin … cerco solo  Lin.

 

 

III^ SCENA

 

 

MARIA

Signore! Che discorsi! Condannati, eccidi, figlie scomparse! Non mi sembrano vezzeggi tra gentildonne-

(rivolgendosi a Olympe)

Voi, madame, siete di Francia? Io, lo sono in parte. Sono la nipote del cardinale Mazzarino … Principessa Maria Mancini Colonna. Mio marito, Lorenzo Onofrio I, è stato Vicerè di Napoli.

Suvvia, presentatevi!

 

OLYMPE

Principessa, il mio nome è Marie Gouze, come sono stata dichiarata alla nascita. Il mio padre vero è il poeta Jean-Jacques Le Franc de Pompignan. Ma non ne ho il titolo né il vanto di nascita.

Sono scrittrice e drammaturga e il mondo mi conosce come Olympe de Gouges. 

 

MARIA

Non ve ne date cruccio. Io non so quanti figli abbia seminato per strada mio marito. Se sono fortunati ricevono educazione, carriere e rispetto.

(rivolgendosi a Louise)

E voi buona donna? Così animosa! Suvvia, abbiate l’ardire di dirci di voi!

 

LOUISE

Sono francese anch’io. Sono nata a Vroncourt la Côte. Mia madre mi ebbe da una relazione con Laurent Demahis, il notabile del posto. Io porto il nome di mia madre: Michel.

Un’altra bastarda, in effetti. Ma, mi creda, amata.

Mio nonno –in realtà mio padre- mi ha allevato ed educato da figlia legittima. Soprattutto alla cultura, alla verità, all’arte.

Sono Louise Michel. L’anarchica, la “lupa rossa” o la “santa rossa”, dipende da …

 

MARIA (con gentilezza affettata)

Da cosa, buona donna?

 

LOUISE

Dalle mie azioni o dalle persone che mi hanno conosciuto.

 

OLYMPE

Principessa, signore! Vi accorgete che le nostre presentazioni svelano che siamo vissute in tempi diversi?

È evidente che io sia nata dopo la principessa e tu, Louise, sia nata dopo di me. Conosci la mia storia?

 

LOUISE

Sì, la conosco. Conosco la storia di entrambe.

 

OLYMPE

Tu, Ping’ Än, quando sei nata? Conosci le nostre storie?

 

PING’ ÄN (confusa e incerta)

Sono nata nel 1910 … forse, non so. Sono figlia di contadini della zona di Jiangnan. Mio nonno coltivava il sorgo.

 

OLYMPE

Oh, Dio! Ci incontriamo in un presente comune. Un presente che non appartiene a nessuna di noi. È una eventualità possibile soltanto se siamo morte.

Siamo morte! Tu, tu e anche tu. Anche tu, Ping’ Än, sei morta.

 

PING’ ÄN

Morta? Io, non posso essere morta. Cerco mia figlia Lin. Devo trovarla!

 

 

IV^ SCENA

(Ping’ Än esce dalla scena – rientrerà alla pronuncia delle battute che la coinvolgono. Maria, Olympe e Louise si aggirano scrutandosi) 

 

 

LOUISE

Un modo di uguaglianza. Tutte sullo stesso piano.

 

OLYMPE

Ma, perché?

 

LOUISE

Perché la storia è cronaca di eventi ma non racconta emozioni, tenerezze, paure, segreti.

 

OLYMPE

Cosa dovremmo fare o dirci? Confessarci?

 

LOUISE

Conoscerci. Stupirci. 

Io, elimino le riverenze. Non ne sono abituata. A tutte, il tu.

 

OLYMPE

Per me va bene, cittadina Louise. Credo vada bene anche per Ping’ Än. Voi, principessa?

 

MARIA

Ma, sì. Cosa volete che mi importi? … se sono morta …

(le donne restano silenziose e immobili… Maria Mancini gioca con la collana al collo poi si rivolge alle altre)

Luigi me ne fece dono. Guardate e ammirate! Perle straordinarie dai  riflessi ambrati … un vero splendore … è un gioiello straordinario …

 

LOUISE

La situazione non appanna la tua vanità.

 

MARIA (stizzita, rivolta alla De Gouges)

Bello il colore dell’abito!

 

OLYMPE

È l’abito della mia cerimonia.

 

MARIA

Quale cerimonia?  

 

OLYMPE

Sotto la lama. Sono stata ghigliottinata. Una macchina per uccidere che non conosci. Ti fanno distendere su una tavola di modo che la testa sia bloccata in un collare … in alto vi è una lama … la lama cala e … voilà … va via la testa, che precipita in una cesta.

 

MARIA

Che orrore!

 

OLYMPE

Poi, il boia la solleva per i capelli e la espone mentre sanguina.

La testa mozzata ha ancora un attimo per scorgere la folla.

Io la vidi. Sghignazzava eccitata.   

 

LOUISE

Sempre raffinato il boia di turno.

 

MARIA

Oh, mio Dio! È terribile! Tu hai vissuto tutto questo? Oh, mio Dio!

 

OLYMPE (ironica)

Già, la ghigliottina. Il trionfo della uguaglianza e della libertà. Morte e libertà per tutti! zac … zac  … zac …

 

MARIA

Per cosa hai … perso la testa?

 

OLYMPE

Sono stata una rivoluzionaria. Ho scritto la dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine.

 

LOUISE (sussieguosa)

Lascia stare, Olympe. Lei non sa di queste cose.

La lama per te, il piombo per me.

Il patibolo e il muro non sono il teatrino di Versailles.

 

OLYMPE 

Maria, sono morta per aver adorato la libertà.

Per aver rivendicato parità di diritti di uomini e donne.  Per aver protestato sulla indecente discriminazione operate dagli Stati.

Per la rivoluzione.

Per la compassione verso i poveri, gli ammalati i diseredati, i fanciulli abbandonati, e tutti quelli ritenuti bastardi emarginati e condannati dalla nascita.

Per aver rivendicato il diritto di sciogliere i vincoli matrimoniali.

Io, che ero stata venduta, ancora fanciulla, per il dovere di nullificarmi nella gabbia che mi veniva riservata -di stagno, pagato per oro- per rendere servigio a un essere che mi ripugnava.

L’orgoglio della mia vita è stato, anche, dissacrare i simboli del lusso sfrenato e delle regole sociali. Delle categorie dominate dagli editti e dal clero. Tra veli penitenziari e delatori prezzolati. Tra campanelli sprezzanti posti al peccato delle signore. Tra cappucci ai ruffiani. Tra berretti tricorni. Tra sete pregiate e ruvidi sacchi informi.

 

MARIA

Ma, allora, come sei finita alla ghigliottina, per mano dei tuoi compagni rivoluzionari?

 

OLYMPE

Accusai Marat (era un capo della rivoluzione) e mi opposi a una legge che si emanava per la repressione degli scritti. Avvertii che si andava verso la dittatura. Fui giudicata e condannata.

Le mie pene carcerarie erano godute dai tiranni. La fame e la sete considerate una santa giustizia, una sana rieducazione.

I miei compagni rivoluzionari mi addussero -come colpa più grave- la colpa di aver difeso la vita del re. Oppormi alla sua condanna.

Demerito del mio essere donna.

Mi ripugna ancora pensare che se fossi stato un uomo sarei stato considerato un diplomatico capace di scatenare la pace; con la clemenza di salvare le teste di Luigi e Maria Antonietta

 

MARIA

I tuoi giudici? Nessuno ti difese? 

 

OLYMPE

Era il tempo del terrore. Quando incominciavano a serpeggiare personaggi buoni per tutte le stagioni, con piedi porcini in più staffe.

Nessuno mi difese. Anzi, furono dediti a volgari affermazioni, prima della mia esecuzione, e diffusero realtà distorte, dopo che la mia testa fu raccolta dalla cesta.

Uno dei miei giudici sentenziò: “ha meritato  la condanna a morte, se non altro perché ha dimenticato le virtù che convengono al suo sesso”.

(sorridendo ironicamente)

Il suo nome? Pierre Gaspard Chaumette, procuratore della comune di Parigi. Un uomo notevole!

 

LOUSIE (rivolta a Olympe)

Dille il motivo della tua ironia.

 

OLYMPE (ilare)

zac ... zac … zac … Fu una lama che lo uccise. La luisette! Anche la sua testa finì nella cesta.

 

 

V^ SCENA

 

 

OLYMPE

Ah! Se fosse stato possibile (evento, confesso, di cui  ancora mi illudo) mi sarei riattaccata la testa per andare nuovamente a spasso per Parigi (Parigi è splendidamente e gelosamente malinconica a novembre) … Théâtre italien, Comédie-Française, teatro di Beaujolais. Spettegolando sulle nuove opere in scena con  Marguerite Brunet (sapete? era la favorita di Luigi e Maria Antonietta).

 

LOUISE

Troppi vizi e vezzi aristocratici.

 

OLYMPE

Non essermi ostile, Louise! Andavo ad indagare tra la gente. Volevo ascoltarne i palpiti più remoti. E, credimi, li raccolsi. La esasperata intolleranza ai soprusi, le ansie di libertà, di uguaglianza, di scelte, di decisioni … anche quella di salvare la testa del re.

 

LOUISE (alza la mano per una stanca carezza a Olympe)

Quanta illusione, povera cara! 

Il potere tiene la maniglia, che lascia poco al bene.”

Il popolo guarda inebetito e si lascia dominare. Sedurre da nuove promesse. Adulare da nuovi condottieri. Circuire dal nuovo amante che promette fedeltà in suo nome.

 

OLYMPE

Mi sono dibattuta e lacerato la mia anima per affermare i principi di parità e dignità di cittadine. Ho fatto scelte. Sedotta dagli entusiasmi per un tempo nuovo di eguaglianze. Di riforme.

Io credevo nella rivoluzione. Ma, il terrore ha avuto terrore della uguaglianza di diritti.

 

LOUISE

Non dovrei dirlo, ma sei stata fortunata. I giacobini ti hanno regalato la storia. Se tu avessi trascorso indenne il terrore oggi non saresti che una dimenticata cortigiana,  adulatrice di altre corti.

(Olympe fa per ribellarsi)  

Non te la prendere. Io sono feroce nei giudizi. Prima, con me stessa.  

 

 

VI^ SCENA

 

 

MARIA

Mi lasciate in disparte dai vostri colloqui.

 

LOUISE

Maria, si diceva di argomenti che non ti hanno mai interessato. Tu ti esibivi a Versailles, a Roma, a Madrid  cibandoti di ciò che si sottraeva al popolo, lasciato nella fame e nella miseria. Per frenesie di piacere, senza regole, senza pudori, senza leggi.

Dimmi! Hai combattuto per sconfiggere i privilegi di nascita, di casato, di appartenenza, di protezione?

Hai combattuto a fianco di diseredati?

Hai sostenuto cause che non fossero i tuoi dilemmi amorosi? Dilemmi circoscritti a una rosa da sfogliare.

 

MARIA

Sei crudele! Come le persone al cospetto delle quali mi sono inginocchiata per supplicare le clemenze che si devono al cuore!

 

LOUISE

Al cuore si debbono leggi giuste e uguali, non privilegi.

 

OLYMPE

Al cuore si deve il coraggio di chiedere giustizia. Il dovere di esigere la libertà.

 

MARIA

E il mio cuore? E la mia libertà? Sono stata allontanata da Versailles; sono stata costretta a fuggire da Roma; poi, anche, da Madrid.

Sono stata ignobilmente allontanata dal mio unico amore. Per ragioni di stato.

Sono stata segregata tra nobiltà e monasteri. Ho amato sopra ogni cosa la libertà. Ho trascorso la vita a negoziarla … la mia libertà!

 

LOUISE

Libertà? Usata e abusata. Imbastardita da inganni.

Tu, Maria, ti lamenti di segregazione tra corti e monasteri?

Le corti che vibrano di orgogli, di cortigiani pagati e sfamati?

Che brigano per presenziare alle abluzioni private di un despota; per ammirare, inchinandosi, il deretano del loro padrone?

Tu hai avuto ogni privilegio. Le tue fughe per la libertà  non erano forse protette?

Non hai forse ricevuto benessere ed ospitalità ?

Non hai potuto piangere le tue principesche lacrime versandole in fazzoletti di seta pregiata?

 

MARIA

Tu non sai o fingi di non sapere. Ho pagato il prezzo di essere una mazzarinetta a Parigi e una mancinetta a Roma.

A Roma sono stata accolta con rime oscene e volgari: ero descritta come la vacca attaccata alla colonna. Una concessione diffamante alla mia libertà!

Eppure a Roma ho fatto dono della mia libertà.

Della fascinazione di cui si alimentava (la fascinazione scatena intrugli inattesi): un abito alla francese muove imitazioni, competizioni salutari all’intelletto. Nuove tentazioni che precedono i desideri vertiginosi … tanti desideri!

(sospirando) Ah! ...  Bernini, Borromini …

(assorta) La libertà delle arti non può essere lasciata al popolo. Deve essere accademica, misurata, onorata, indirizzata, vivibile. Anche segreta dei piaceri.

 

OLYMPE

La cultura e le arti non indossano parrucche. Non indossano divise.

La cultura e le arti non indossano uniformi.

Non appena se ne scorge una occorre deriderla. O, temerla e combatterla.

Se non la si scorge, se si nasconde, se si maschera, bisogna essere all’erta, pronti alle barricate. Perché è allora che indossa il moralismo dei despoti.

Facile essere disattente quando si brancola, inebriate di sè, alla ricerca di emozioni tra le braccia di amanti di passaggio, il più delle volte gaglioffi.

Mia principessa, io ne numerai più di te. Ma fui sempre di occhio attento e vigile.

Le tue labbra si piegano in una punta di domanda sempre accesa. Sembri un navigante che cerca invano la terra sulla linea dell’orizzonte.

 

LOUISE

Parla chiaramente, Olympe! Siamo tutte naviganti. Con divieti emessi da proclami di sovranità garantite o  lasciapassare e salvacondotti gestiti dalla forza di alleanze, dai  traffici e dagli stemmi.

 

MARIA

Sono stata umiliata…

 

LOUISE

Tu, umiliata? Dell’umiliazione riversata a man basse sui poveri, sui diseredati, sugli ammalati? Ma se non conosci la disperazione di non potersi pulire dalle lordure, di doversi liberare le viscere in angoli sicuri!

Forse non ti hanno reso l’omaggio di essere prima ad un cambio di tiro alla carrozza?

Conosci la vita che non sia quella che narri? Troppi abbagli nella tua cronaca, cara!

 

 

VII^ SCENA

(Ping’ Än rientra in scena, vaga d’intorno a Maria, Olympe e Louise ansimante e con gesti di voga con il remo)

 

 

LOUISE

Che cosa fai con quel remo tra le mani? Continui ad agitarlo. Sembra tu voglia scavare.

 

PING’ ÄN

Cerco Lin …  è caduta nel fiume azzurro? … datemi mia figlia … voglio portarla dentro di me … sfamarla … ancora nascosta … mai nata a questa vita … voglio  consolarla … voglio pulirla … le acque sono torbide … non la trovo … corpi … sangue …

(si ferma e si rivolge ora a Maria, ora a Olympe, ora a Louise)  

Voglio. Debbo trovare mia figlia. Aiutatemi, vi supplico! Le nove stelle sono oscurate. Le nove stelle si dissolvono.  Il mio pianto non lava il rosso delle carni e brandelli di cadaveri ondeggiano sciagurati nella destinazione  nefasta.

Non la trovo. Non trovo Lin. Vedete i mille corpi deturpati  e mutilati e decapitati che galleggiano nel fiume?

Il fiume. Il nostro orgoglio che rifletteva solo l’azzurro del cielo.

Il fiume azzurro è macchiato di sangue. Di sangue di innocenti, di vergini.

I soldati … i soldati … hanno  seviziato … oltraggiato … stuprato … reso le madri orfane dei propri figli …  non c’è più tempo … aiutatemi a trovare Lin!

(disperata) Le anime aspettano di congiungersi in sepoltura degna.

(sempre agitando il remo Ping’ Än esce di scena)

 

LOUISE (pensosa)  

Anche la Senna è macchiata di sangue. Dalla Senna allo Chang Jiang: un lungo fiume azzurro.

 

 

VIII^ SCENA

 

 

LOUISE

I predatori osano sempre. Invocano il favore di vittorie. Per stirpe. Per territorio. O per lo squallore che sempre li anima. Squallore tanto triste da doversene fare eroi, per nascondere la vergogna e il disonore.

 

OLYMPE

Tutto sarà dimenticato con una nuova pace.

Ma non è la guerra che prepara una nuova pace. È la pace ipocrita che prepara la prossima guerra.

 

LOUISE

La pace di un potere sfrenato che allestisce scene false. Fa girotondi tra lussi e inchini.

Dove ci si ammira l’un l’altro. Ci si controlla l’un l’altro.

Eleganti, cortesi, misurati. Tra luci e specchi. Un serraglio moltiplicato all’infinito.

Nulla è lasciato al caso.

Un potere così sazio che si commuove per scarpine delicate mentre si stupisce per cadaveri lasciati imputridire in una incuria ubriaca.

Non vede il popolo. Il popolo è un ingombro. Un incidente. Un pasto da consumarsi tra lenzuola di seta e domini spietati.

Sono i tanti imperatori, che non puoi eliminare, i veri manovratori del potere. Quelli che nascondono la faccia e maneggiano indisturbati passando da un incarico all’altro. Inafferrabili, ambigui, perché custodiscono tutti i peccati inconfessabili, i tradimenti, i ricatti. Non certo le virtù delle buone pratiche.

Per questo, mai bisogna abbandonare la lotta. Anche a costo del sacrificio della propria vita.

 

MARIA

Ma il popolo ha bisogno di governi. Guide da seguire e solo la nobiltà e il clero sono educati ad assolvere tale compito.

 

OLYMPE

La nobiltà, il clero? Le guide che negavano l’istruzione e le sepolture? Noi le abbiamo abbattute…

 

LOUISE

Sono ritornate, Olympe! Anche noi le abbiamo abbattute, ma sono ritornate. Con altre bandiere, ma sono ritornate.

 

OLYMPE

Mi stai dicendo che non c’è sicurezza sotto alcuna bandiera? Nessuna bandiera può essere libertà?

 

LOUISE

La mia bandiera … l’unica bandiera non può che essere nera.

Nera, in lutto per gli ideali irraggiungibili.

Nera, come il cielo di notte, da riscrivere con l’innocenza di bambini.

Senza stancarsi mai. Senza gioire di ogni principio che anticipa vittorie fallaci.

 

 

IX^ SCENA

 

 

MARIA

Allora, dovete concedere che anch’io sono stata schiacciata da poteri che non potevo controllare.

 

LOUISE

Dovevi disdegnare coloro che concedevono i loro titoli.  Stracci, abiti smessi. Ripetizione scimmiesca della loro voluttà di predominio.

Concessioni che si riservano una gabbia con la porta chiusa. Dove stipano donne controllate, donne vigilate che si lasciano catturare dal lusso, da appartenenze innaturali e dagli ornamenti che servono da collari.

 

OLYMPE ,

Bisognava che tu ti proteggessi –le donne devono  proteggersi- dalla violenza insita nella segregazione, nella disparità, nella commedia della leziosità gradita e sicura. Sono gli schiavi che adulano il padrone, per imbrogliarlo, non le donne.

 

MARIA

Ho lottato per la mia libertà, non è sufficiente?

 

OLYMPE

La collana che non abbandoni? Un lusso o un simbolo?

 

MARIA

Il dono di Luigi? Per me resta solo una confessione d’amore. Non me ne sono mai separata. L’unico suo vero amore innocente –potrete non crederci- prima che lo vestissero di splendore.

 

OLYMPE

È quando ci portano doni che bisogna temere.

Nascondono una traccia di astio che attira il piccoletto  in castigo che alberga nel gigante. Sempre in attesa di carezze.

A dirla tutta: vigliacchi!

 

MARIA

Le buone maniere non sono vigliaccheria.

 

LOUISE

No? … perfide ipocrisie esercitate da diligenti esecutori di turno! Per la amministrazione notturna delle donne.

 

OLIYMPE

L’ingenua Maria! (rivolta a Maria) Da come ne parli sembra che l’innocenza amorosa del tuo “splendore” abbia plasmato le perle. Nessun saccheggio, nessuna gabella sul pane, nessuna condanna a morte per i dissidenti. Al più, morire a frotte sui campi di battaglia!

Qui la tua convenienza è nel  dimenticare che sei stata la nipote di Mazzarino e tu stessa viceregina di Napoli.

Ah, di certo questo non sai!

Il tuo “sole” amoroso, mentre si perdeva nel pensiero di te, faceva funzionare le sue segrete. Botole sature di pianto dove gli uomini venivano imprigionati, trattenuti da corte catene alle pareti perché non potessero avere riposo.

Sai, Maria, lì i prigionieri del “sole” perdevano la propria identità, erano obbligati a portare maschere per essere “nessuno” e non per essere abbagliati dalla luce. Poi, torturati membra a membra. Alla fine, trucidati.

Sì! Si trucidavano i “nessuno” con soddisfazione del re e buona pace di santa romana chiesa.

Il despota decretava con lettres de cachet: una condanna senza tribunali, senza un corpo vivo al cospetto di una corte.

Ti annullo. Non ti riconosco mio simile.

Ebbene, anche il tuo Luigi si è macchiato di tale crimine!

 

LOUISE

Un crimine che percuote l’umanità in ogni tempo e in ogni regime.

Finanche oltre i limiti delle ipocrisie, quando qualcuno dice: “lo Stato siamo noi!”, perché la vita diventi una nuova mangiatoia. Mangime ed escrementi.

Cambiano le gabbie e le prigioni. I metodi e le perversioni si fanno più raffinati. Ma le intenzioni  rimangono le stesse.

(rivolta a Maria)

Taci? Non inorridisci? Gli giustifichi ogni misfatto. Ti ha persino respinto quando gli chiedesti aiuto. Ricordi?

Lo hai amato così tanto?

C’è sempre qualcosa di torbido nella realtà che ci inventiamo. Qualcosa di intollerabile. Qualcosa di marcio e gocciolante che divora la verità.

 

MARIA (concitata)

Sì! … lui solo l’amore vero della mia vita. … Luigi … nessun altro … giuro! … ho avuto amanti, è vero… capricci, divertimenti, vizi … chiamali come vuoi … e non mi giustifico davanti a te confessando le mie solitudini … ma … ma … uno solo è stato il mio amore vero, puro, sincero … lui … solo lui … Luigi …

 

OLYMPE

La collana è il guinzaglio con cui trattiene la tua anima! Con cui ti fa sua complice. Lo comprendi?

 

MARIA

Cosa volete che faccia?

 

LOUISE

Niente! Solo che tu ammetta la verità senza che ti nasconda dietro ventagli, ciprie e parrucche. Dietro il titolo dei tuoi privilegi.

I privilegi sono malattie infantili da curare.

Privilegio è portare le pecore al pascolo piuttosto che annusare, nel sogno, il profumo della zuppa.

Privilegio è aizzare la lotta tra diseredati, dove la lotta è persa tra chi non ha latte e chi non ha pane.

 

OLYMPE (rivolta a Maria che piange)

Le lacrime sono espedienti per bambini e vedove.

 

MARIA

Quando ti feriscono nell’orgoglio sono necessarie.

(rivolta a Louise con dispetto)

E tu hai mai pianto per amore?

 

LOUISE (malinconica)

Ho avuto il beneficio di amare, certo. Lasciandogli la libertà di non amarmi.

Si chiamava Théophile Ferré. I suoi occhi erano dolcissimi. Fu condannato a morte, alla fucilazione. Davanti al plotone gettò via la benda che gli copriva gli occhi; respinse il prete; si aggiustò gli occhiali e guardò in faccia i soldati.

Chiesi di morire con lui. Mi fu negato. Fui condannata alla deportazione perpetua in Caledonia.

Per lui non piansi. Avrei offeso la sua dignità.

Ma, ho pianto, Maria, ho pianto molto. Per mio nonno, per mia madre, per gli amici caduti, per le donne e i fanciulli massacrati. Per tutti quelli che ho visto soffrire la miseria, il disagio, l’ignoranza, la vita grama.

Ho pianto per me. Silenziosamente in me.

In vecchiaia, appannati gli ardori della gioventù, più volte mi sono chiesta se le follie a cui avevo assistito avessero motivo in una volontà di giustizia, in una attesa di riconoscenza da parte di un dio.

Io, non ho un dio a cui chiedere conforto o pietà.

Non ho trovato risposta se non mascherare il mio ideale di felicità in ideale irraggiungibile.

Quello che non aveva fatto il piombo di Thiers -o di chi tentò  di uccidermi- lo fecero quelli che mi esibivano per sostenere il loro onore, la loro ambizione.

Ho dovuto apprendere che l’esilio non è un luogo geografico.

 

MARIA (concitata e superba)

Sulla mia pelle ho patito la lontananza dei miei figli. Li ho dovuti lasciare nelle mani protettrici dei  Colonna, più sicure per l’avvenire. Cosa può fare una madre?

È vero. Ho brigato tra le corti. Cercavo un mio spazio. Cercavo la mia affermazione. Sono stata a volte accettata e a volte scacciata. Ho intrigato per il potere. Ho compreso solo alla fine: Maria Mancini, polvere e cenere.

Non ho raccolto interrogativi. Non ho lasciato la mia impronta di madre e di educatrice curiosa. Non mi sono incantata, orgogliosa, alle piccole conquiste di ogni cucciolo che merita i primi onori della vita.

Sono stata soltanto capace di raccogliere l’ultimo respiro di mio figlio Filippo … troppo poco! Mio figlio Carlo l’ho  visto cardinale … ma non ho ascoltato e condiviso le sue angosce … ho avuto la fortuna che, per nascita non per mio merito, sia curioso verso le arti e la cultura … che sia un mecenate.

Ho voluto la mia libertà o ne sono stata costretta.

Sono stata schiacciata tra due potenze.  

La libertà, alla fine, fu soltanto disperata solitudine.

 

OLYMPE (con orgoglio e dolcezza)

Sono andata al patibolo quando mio figlio mi ha rinnegato. Si è dissociato da me, dalle mie idee dalla mia passione sociale per timore di essere inquisito: lui era l'aiutante generale Aubry de Gouges!

Ma, era mio figlio.

Gli scrissi con tutta la tenerezza che potevo; ricordandogli il mio amore per lui e il mio coraggio di affrontare la morte.

I carnefici hanno scritto, con disprezzo, del mio umano tremore mentre il sangue aspettava di sgorgare da me.

 

LOUISE (sprezzante verso Maria)

Maria Mancini, polvere e cenere? Non hai forse portato nel sepolcro la collana e, pure, il diamante che ti regalò Onofrio? Anche le tue ossa hanno il privilegio dei principi?

 

OLYMPE (assorta)

Ecco, i privilegi … io sono sempre in attesa di essere traslata  al Pantheon … 

 

MARIA (astiosa verso Louise)

Tu dici di essere ricca di pietà … la “santa rossa” … e sei sprezzante mentre, qui, con voi, io sto spurgando la mia anima.

 

LOUISE (fiera)

Io non sono il tuo dio. Ho visto e vissuto un mondo lontano dove donne venivano caricate come muli, senza ombre di furore negli occhi; abbandonate senza valori, senza sogni, senza speranze. Vendute e comprate per pigrizia, per paura, per bramosia. Senza fiori e memorie sulla fossa.

 

 

X^ SCENA

(Ping’ Än rientra in scena senza il remo),

 

 

OLYMPE

Hai trovato Lin!?

 

MARIA

Concediti una sosta! 

 

PING’ ÄN (composta)

Vi ho interrotto … vogliate giustificare il mio andare e venire.

Il dolore offende la mia compostezza. Le lacrime sono fiori della disperazione che non posso governare come si conviene.

 

LOUISE

Un mostro ti possiede … più forte di ogni consolazione.

 

PING’ ÄN (con lamento, venendo attorniato da Maria, Olympe, Louise)

Il dolore è avido! Mi strappa alla modestia e mi incatena. Lasciatemi nella mia solitudine.

Nel fiume azzurro lei mi parlerà.

Ascolterò la corda che suonava per propiziarsi l’amore. Ascolterò la sua voce, ancora acerba, che soverchiava i rimproveri.

Ascolterò la sua voce che protestava -con compiaciuta  indolenza- ai doveri domestici.

Altro non ascolterò … non ascolterò altro … non ascolterò altro … il mio cuore e le mie orecchie sono sordi!

Sapete il mio dolore? 

Sapete quanto può disperarsi un essere umano impotente? Legato per i piedi e le mani come un animale da macello.

Un essere umano che fende l’aria con armi invisibili. Gli occhi che vorrebbero essere ciechi. La voce muta, nei lamenti.

Un essere umano costretto a guardare giochi di bestie sguaiate, oscene.

Un essere umano dilaniato tra il desiderio della sua stessa morte e la rabbia che schiuma a chiedere pietà …  poi, la vendetta … poi, la speranza che tutto si dissolva, come in un incubo.

Sì. So che lo sapete.

(Si toglie la maschera rivelandosi un uomo)

Sono Niàn Zhen. (altero)

Sono il pianto, per la tirannia. Sono la disperazione, per la ferocia.

Mi sono fatta donna per urlare con voi. Ascoltando le implorazioni del mio sangue.

Di  Lin e Ping’ Än che non potranno trovare pace senza sepoltura.

Ancora gridano: ˂aiutaci … salvaci … uccidici!˃.

Ahimè ... ahimè ... la vergogna!

Come può un uomo sopportare la vergogna di essere legato mani e piedi come un animale … di perdonarsi … per strisciare al levarsi del fumo dell’incendio … per salvarsi … per sfuggire ai carnefici … per dannarsi in eterno.

Mi sono fatto donna. Donna infeconda alla vita. Senza speranza, senza futuro, senza ravvedimenti.

Mi sono fatto donna per avvertire l’onta che piagava la pelle mentre uomini non più uomini si macchiavano di disonore … violando essere indifesi … disertando i campi di battaglia … esaltati criminali …  sciacalli …  riducendo  donne, bambini, vecchi a colonia di topi di fogna … senza più onore … con la indifferenza del gesto di urinare …

Oh! Antenati, restituite l’onore a Lin e Ping’ Än!

Oh! Antenati, salvate il popolo di Niàn Zhen!

 

 

XI^ SCENA

 

 

LOUISE

Come non accorgersi che si può trucidare impunemente, stuprare il corpo e lo spirito, infierire con l’infelicità, tra negligenze morali e statali.

Non una storia sfumata, ma un diario pubblico vergognoso da additare per il basso valore di chi vi abita; dimentico di ogni tormento etico.

Violando le regole degli equilibri naturali sapienti o giustificandosi nei doveri e nelle formule a cui si affannano, a scrivere e riscrivere, analfabeti di tutte le tavole.

Bisogna temere ed essere pronti alla lotta quando eserciti, giudici, prelati sono al soldo del tiranno o di se stessi.

 

MARIA

La crudeltà si trova nell’elenco delle malattie dell’anima. Eppure la storia esonera da questa diagnosi piuttosto che avvalersene per isolare i malvagi.

Mappe con bandierine e cavalieri e torri di legno per guerre e stragi interminabili: sono il bel gioco da tavolo preferito dall’umanità.

Quanta robaccia si può accumulare in una sola vita!

(si rivolge a Louise facendo il gesto di sfilarsi la collana)

Quale pigrizia ha contaminato la mia anima!?

Mi hai vinto, Louise … prendila … (fa per porgere la collana)

 

LOUISE

No, Maria! Tienila! Non ho orgogli, né nostalgie.

Scelsi la solitudine sentimentale.

Quante volte ho chiesto ad uno sguardo, intenerito dal mio ardore potente, di farmi bella ai suoi occhi: “Solo se uccidi per me l’imperatore avrai la mia devozione amorosa”. Ma non si possono uccidere mille imperatori per un cuore umile.

 

OLYMPE

Ho ritenuto fermamente che la dichiarazione dei diritti potesse essere un primo passo.

Una consapevolezza per le donne lasciate ai margini. Senza voce. Senza leggi. Senza tutele.

Sono stata ritenuta troppo zelante nel rivendicare questi diritti per tutti.

Sempre in prima linea, ma soverchiata da intriganti e corrotti.

Demagoghi che penetrano nelle fessure della storia come sangue infetto, ristagnando nelle tubature.  

Inetti e acidi consiglieri, dediti alle ricchezze personali che si fanno vanto delle loro doppiezze, dei costumi licenziosi usati, ricercati, premiati e invidiati. 

Uomini di incallita  versatilità che preparano le loro future messi con rituali mascherati e sotterfugi. Con corrotto servigio al tiranno sanguinario in carica e al prossimo padrone, da insediare già impagliato.

Tra questi uno (tu sicuramente ben lo conosci, Louise: Talleyrand) commissionò una “dichiarazione dei diritti delle donne” a una straniera. Pur di banalizzare il mio lavoro già scritto e presentato all’Assemblea.

Lei era dolcemente riflessiva e propensa all’educazione delle fanciulle, alla solidarietà tra femmine, all’aiuto reciproco, alla condiscendenza verso il consenso paternalistico -che non graffia-, alle introspezioni oziose, sminuite dal confronto. Insomma: un colloquio di ombre che si allungano tra specchi.

 

LOUISE

Tu hai usato la spada che ferisce e intimorisce.

Altre pensano di attraversare il cerchio; perché le curve sono rassicuranti. Perché non bisogna puntare alcun dito, ma giungere le mani in mea culpa.

Parli della tua tenacia, invochi la tua bella anima rivoluzionaria. Non comprendi che alla storia rischiavi   di passare per una commediante. Bella, procace e tenace. Ma, perdente!

C’è un vizio che arde. E questo è il vero peccato originale: il tradimento.

Adamo, il traditore, divora la mela, sottomette la donna e cannibalizza la storia.

Parlino i traditori! Almeno per togliere loro il saluto storico.

 

MARIA

Bisogna proteggersi dalla violenza insita nella segregazione, nella disparità, nella commedia dei sensi.

 

OLYMPE

Nel mio scritto la parità è il fondamento e, difatti, dissi “se un uomo può andare al patibolo ci può andare  anche una donna”.

 

LOUISE

Non credo alla battaglia di parità. È inutile, addirittura dannosa. Genera risentimenti.

Rende scrupolosi e fervidi, ai propri privilegi, anche uomini che potrebbero essere utili alla lotta.

Illusori compagni di equilibri e dignità che, miseramente, quando non te l’aspetti, sputano un dettaglio che li smaschera.

Intellettuali -portatori di insidie- hanno affermato:“Dare istruzione a una ragazza povera è sbagliato, anzi, è crudele”.

Finanche Proudhon ha dichiarato che le donne sono  buone a fare le massaie o le cortigiane.

Che spreco di intelletti! Che pena per questi misogini risentiti! Quanta complicità tra odio e potere!

Molte donne, intanto, pensano di riempire il deserto con la cipria.

 

OLYMPE

Il lievito madre! (come sorpresa da un pensiero improvviso)

È la donna che ne possiede ineludibile traccia. Ne basta una porzione, una goccia, una qualsiasi misura per far proliferare il nord, in ogni segmento di vita.

Unite, determinate, noi saremmo una moltitudine; noi saremmo lievito; noi saremmo la coscienza sociale.

Noi, insubordinate? Noi, ciniche?

Noi nutriamo anche con cibo  masticato: un dovere! Dovremmo forse rinunciarci?

Noi, insubordinate? Noi, ciniche?

Sì! Anche se una carezza nascosta ci intenerisce e ci indebolisce.

Dovremmo rinunciare alle lusinghe di amori teneri o appassionati consegnandoci carne per nuove colonie?

Dovremmo rinunciare a danzare mentre accompagniamo i compagni a disertare le marce?

 

LOUISE

Scelsi il dovere del fare; in attesa di una nuova lotta degna di uccidermi. Ancora e ancora! Ma non vi  chiedo questo. No!

Amiche mie, l’intimo dell’universo è l’armonia. Se c’è uno squilibrio bisognerà armonizzarlo.

 

MARIA

Porterò e conterò le perle della mia collana d’amore come perla di ogni donna. Di ogni anima fertile. Tutte macerate nelle lusinghe e purgate da ogni inganno.

Sì! Anime pronte ad una signoria delle donne.

 

LOUISE

Siamo l’esercito più numeroso, più potente, più spavaldo, più seducente, più selvaggio che il mondo abbia conosciuto.

Forse, il dovere di pretendere il giusto -se ogni donna combatterà per il giusto verso tutti, in nome di tutti- potrà, in ogni momento, in ogni epoca, esprimere una coralità, unica; ribelle e composita. Un “qui e ora”  che diventa storia senza rossori né rimorsi.

Riprendere più fiere la lotta.

La tirannia osserva e teme la forza quando si fa azione quotidiana, opera, azione, servizio.

Rivoluzionare se stesse, rifondare la dignità come un nuovo impero. Diventare sentinelle del giusto.

Quale altro destino?

 

 

XII^ SCENA

 

ESODO

(entra Marguerite  mentre Maria, Olympe, Louise, Ping’ Än  abbandonano la scena)

 

 

MARGUERITE

Si sono allontanate.

Riprendo ad ardere nel rogo.

Esse sono state le fiamme che mi lambiscono. Grolle di fiamme che ustionano e stordiscono. Che denudano le viscere. Che mostrano le viscere arse.  Stuprano l’intimo delle ossa.

E le ossa urlano: ”quale  potere  giudica ...  ardo … anima  annientata … senza salvezza … privata di purezza … dalle nefandezze degli empi … dalla lussuria dei  despoti … “.  

Mentre il fuoco racconta: “Marguerite, la tua tonaca non ti salva ... la tua purezza non ti concede scampo … la tua ricerca della vicinanza si è infranta sul sangue degli eccidi ... “ .

(entrano nuovamente in scena  Maria, Olympe, Louise, Ping’ Än; Marguerite fa loro cenno di avvicinarsi e  accarezza ognuna)

Oh, fuochi di ardore … non temete le anime semplici … non temete le eresie … siate preziose orazioni … siate audaci nel protestare l’innocenza dei cuori … siate fiamme più potenti per mettere al rogo il destino dei domini …

 

 

 

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ultimo aggiornamento/pubblicazione il 15 settembre  2019