la notte dei coralli 

 

 

 

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 la notte dei coralli  

 

dramma in un tempo

 

 

(Omaggio a Camille Claudel, compagna di Rodin per oltre dieci anni. Un’artista che ha pagato l’inesorabile peso di essere donna, fragile e  anticonformista. Per questo, in una società borghese e bigotta, emarginata dalla società e dalla famiglia.  Confinata e isolata per trent’anni in manicomio, fino alla sua morte. La storia sente il peso delle opere che non ebbe modo di creare.)

 

 

persone

 

Auguste

Camille

Rose

Paul

(voce fuori scena)

Il Dottore

(voce fuori scena)

L’Infermiere

(voce fuori scena)

Voci indistinte

(voci fuori scena)

 

le azioni si svolgono con contestualità scenica

 

 

 

I^ SCENA

(casa Rodin)

 

 

AUGUSTE

Rose … Parlami! Ascoltami senza ruggire. La persona che ti fa soffrire soffre la mia stessa malattia. La stessa febbre di capire cosa nascondono una massa, un corpo, un movimento.

Certo. A volte violiamo i nostri doveri. Dimentichiamo. Siamo egoisti. Ma dobbiamo (dobbiamo!) vivere così. Per capire cosa esiste nel marmo, nella pietra, nella creta. Perché noi diamo vita a ciò che è inerte.

Tu detesti Camille … Non fai nulla per nasconderlo … Come donna avresti anche i tuoi diritti di farlo. Ma, la odi. Quando dovresti amarla per quello che hai amato di me, che ami di me.

 

ROSE

Ah! … che  pretesa!

 

AUGUSTE

Rose, ti amo!

Ti amo come … come amo la materia grezza, come amo il fango e l’argilla prima che una mano guidi la mia mano.

Lei è il vento che soffia sul prato. Facendo rabbrividire il verde dell’erba … il  vento passa!

 

ROSE

Ah! Andiamo via!

Andiamo in campagna … Immediatamente!

 

AUGUSTE

Non urlare. … Calmati!

Come vuoi … non ora. 

 

ROSE

Vigliacco!

 

AUGUSTE

Ora … non posso.

Ascolta! Mi girano nella mente immagini che prendono forma sento il fragore delle tempeste. Avverto un martellare. Come se fosse il mio stesso cuore che impugno. Mi sanguinano le mani.

 

ROSE

Sei un verme! Sono venuta … Sì! Sono venuta … Ieri … Al tuo studio. … Ho visto!

 

AUGUSTE

Cosa hai visto?

 

ROSE

Quello che c’era da vedere.

Eravate avvitati. Eravate una statua di sale a due teste. Una montagna. Una oscena costruzione.

Ti ho visto le corna … Eri rosso, come l’inferno!

 

AUGUSTE

Non era Camille! Se è questo che vuoi sentire.

 

ROSE

Non voglio sentire! Né questo, né altro.

 

AUGUSTE

Ascolta. Sai che sono inquieto e stanco. Domani avrò finito le prove e ti raggiungo. La campagna mi calma.

Mi ispirano le increspature dei prati. La campagna mi salva, come il tuo amore.

 

ROSE

Come l’ultima volta?

Sei stato a dormire un sonno infinito.

Ti ho guardato l’intera notte e non respiravo per poter sentire il tuo respiro.

Poi, sei sparito. Sei sparito al sorgere del sole-

Solo l’impronta di te. Un giaciglio provvisorio. Una sagoma appassita. Una coda di lucertola. Piume di struzzo abbandonate dal dio della indecenza.

 

Un verme! Sei un verme!

 

AUGUSTE

Rose, anima mia.

Ricordi quando ci siamo incontrati? Ricordi con quale furia ci siamo guardati e amati? Solo con gli occhi.

Ho penetrato il viola dei tuoi occhi e ho visto le pagliuzze del mondo. Era come guardare l’infinito dalla serratura.

 

Aspettami! Non ti stancare mai di farlo.

 

ROSE

Non posso ascoltarti oltre. Sono infuriata!

 

Si dice che vi frequentiate anche fuori dallo studio.

Sei perso di lei?

 

AUGUSTE

Tu sai che mi perdo e mi ritrovo.

Lei è ostinata e sembra voler morire e vivere ogni momento.

 

L’ho scoperta che mangiava la terra.

La annusava. Se ne confondeva sino a rotolarsi con un impeto che mi ha inquietato.

 

Ho pianto con lei, sollevandola da quel lamento che comprendo. Quel lamento che avevo imparato a tacitarmi dentro.

 

ROSE

Mentre piangi non pensi a nostro figlio? … Tuo figlio ti reclama. Vieni! O giuro che spariremo dalla tua vita.

 

AUGUSTE

Ricordi quella volta che ti ho quasi persa?

Nella mia mente vacillava ogni certezza. Distrussi nel pensiero ogni cosa conquistata. Poi la scorticai. Ripensai a tutto. Ricomposi i pensieri. Li rimisi in fila.

 

Rose! Rose! In prima fila c’eri tu!

 

ROSE

Non mi incanti.

Le cantilene le canto a nostro figlio, fino a sfinirmi.

Tu non sei l’innocente che guarda alla vita e ne beve l’amaro.

Non sai le note stonate del giorno e della notte che vivo.

 

Tu sei … Tu sei il figlio degenere di Dio!

 

AUGUSTE

No! No! Rose ti sbagli!

Sono il lato mostruoso della sua immensa pietà.

 

ROSE

Se non avessi la pace che mi prende quando porto sul grembo fiori di lavanda e vado girando nei campi! …  Solo allora sono convinta di poter arrivare all’altra parte del mondo.

Piano. Piano. Senza fretta. Cancellando il pensiero che tu sei vivo e lontano e respiri malgrado me.

Cancellando i miei singulti; cancellando il profumo che mi offende le narici.

Quel profumo che ha un sapore di innocenza e di peccati.

 

AUGUSTE

Ora brandisci la spada del senso.

Sai che mi perdo.

 

Vedo i tuoi muscoli guizzanti tra le vesti. Si muovono di vita e di orgoglio.

 

ROSE

Basta! Basta! Non voglio reclinare la testa e offrirmi alla tua offesa. Basta!

 

AUGUSTE

Non so se si deve distruggere la carne viva per rappresentarla.

Non so quanto duri l’infinito.

Non so nulla della innocenza degli altri.

Conosco solo la mia disperazione. Che si placa, per poco, nelle forme del marmo lucente. Che una mano pietosa arma.

 

ROSE

Anima mia!

Crea il tuo mondo. Vai tra le tue donne sinuose e impudenti.

Metti la tua bocca nelle ferite che ci accompagnano.

Serra le tue gambe a tenaglia tra umidi roseti.

 

Ma, non osare vederla!

 

AUGUSTE

Lei è immota come il tempo. Curiosa come il vento che sferza e si insinua, come le stelle indifferenti alle sorti degli uomini.

Lei è una esploratrice tenace e lacerata.

In lei si indovina un compiuto che lotta con il divenire. Lei è la risposta a ogni nuovo universo.

 

ROSE

Stamattina ho visto il tuo sorriso, mi seguiva tra i cesti del bucato e odori di fieno. Sono stata ad immergermi in quel silenzio.

 

Sono delusa. Non ti perdono! Lei ti seduce … Io, no.

 

 

II^ SCENA

(il manicomio)

 

 

CAMILLE

La vita è un giorno. Un solo tempo di quel giorno. Una sinfonia che accompagna ogni  possibile follia.

 

Sono immobile in questo sudario. Ho le mani legate. Rifiuto ogni parola. Muta osservo e mi scolpisco in mille parti la bocca, i fianchi, le braccia. Un groviglio!

Gli occhi fissi al soffitto sono gelidi, bianchi.

La disperazione che colore può avere? 

 

Le mie mani stanno lavorando la creta. Sfuggono ad ogni controllo dei carcerieri. Credono forse che imprigionare un corpo li possa assolvere dei doveri? Diligenti? No. Zelanti? No. Aguzzini? No.

Solo uomini minuscoli ruotano intorno al giaciglio. La mia bara.

Il mio sudario, li diverte? La mia disperazione, li esalta? La mia solitudine, li commuove? Li conduce all’orgoglio di applicarmi i rimedi della loro fervida certezza. Della loro lurida scienza.

 

Sono un involucro! Un contenitore provvisorio di viscere.

 

Aspetto i turni.

Devo cogliere e lavorare la torsione vibrante della biondina che si sporge, stirando le scapole,  per  ripiegare i lembi del lenzuolo.

In questa operazione non mi guarda mai. Posso soltanto osservarla. Il suo sguardo è rivolto alle cime degli alberi che si intravedono dal finestrone. Lassù in alto, a portata della polvere.

Residui di pelle e unghie e animali che se ne nutrono.  Uomini e donne che hanno lasciato qui  i loro resti. Una transumanza pulviscolare.

Le braccia si ritirano e posso guardare la possanza del petto carnoso e asimmetrico. Sembra che mani invisibili strizzino la carne dalla base verso l’alto. Aumentando ciò che si vede e tacendo di quel che rimane. … Osservo la stoffa rugosa.

 

Le mie dita affondano la creta e penetrano la pasta. Le mie unghie incidono, liberando la parola possibile. Le onde danzano inneggiando ai fervori della vita.

 

 

III^ SCENA

(il manicomio)

 

 

L'INFERMIERE (voce fuori scena)

Signore! Signore! ... Uscite dalle camere .... Non vi agitate ... Andiamo tutte nel giardino ... Su! ... Su! ...

 

VOCI INDISTINTE (fuori scena)

Ha rubato il mio pane … Sì! hai rubato il mio pane … il mio pane … ladra ... ladra ...

Sì! Sì! … io l’ho vista a tavola … l’ha nascosto nella camicia …

Ha il petto più grande del tuo …

Facci vedere! …

Facci vedere! … Facci vedere! … Spogliati! … Spogliati! …

Io non ho mangiato … io non mangiato … io non ho mangiato …

È stata lei! …  mi ha preso il piatto e il pane …

Gli uccelli hanno fame e io metto le briciole sul letto vengono e li faccio cantare …

Li uccido … non mi piace la musica

Ho fame … Agnés  ha fame … Agnés  ha fame … Perché prendi il mio pane?

Oh che bella testina … se la mangio resterai senza testa … e non parlerai più …

Un morso anche per me … anche per me! …

 

IL DOTTORE (voce fuori scena)

Buone! ... Buone! ... Ricordate he non potete aggirarvi sole nel giardino. Che, comunque, non potete oltrepassare la siepe.

Se avete una necessità, dovete alzare, piano, una mano.

Segnalate alle infermiere ogni sollecitazione molesta delle vostre compagne.

Ricordate che non potete possedere né trattenere alcun oggetto!

 

CAMILLE

Ecco. Una seduta collettiva movimentata!

Si protesta. Urla e pianti in volti già maschere di dolore. Quali se Dio, dopo averle pensate, le avesse scomposte per un improvviso capriccio. Per una furia distruttiva. Per un modello impuro ai suoi occhi. La perfezione è un ostacolo.

Voglio piangere … forte … anch’io … anch’io. Io posso piangere … io voglio piangere!

 

So che ognuna ha un segreto.  

Un manico rotto. Una pietra venata. Il guscio di una lumaca. Questo è stato il bottino requisito.

 

Quanta fatica!  Terra. Sputi. Un pizzico di farina.

Ogni volta scavando. Poi, indovinando la forma, la parola, il movimento cui è destinata. Poi, levigando.

 

Non hanno trovato nulla. Sono riuscita a nascondere la mia misera poltiglia.

 

Ci siamo disperse, come uno stormo impazzito.

 

Ho deciso di scrivere a mia madre. Debbo implorarla di riammettermi a casa. Di essere pietosa. Le giurerò di inginocchiarmi alla sua autorità senza riserve. Di essere pentita della mia libertà. Di non avere mai più alcun comportamento sconveniente per me o riprovevole per la società. So che aver distrutto le mie opere e i poveri resti del mio studio l’ha sconvolta a tal punto da cancellare ogni forma di pietà e di amore materno.

La rassicurerò. Oh, sì! Debbo rassicurarla. Debbo! Debbo!

Sono pentita! Dio! Perdonami!

 

Sono pazza? … Siamo Pazze? … Non facciamo che girare intorno alla pazzia. Che ogni giorno si apre una strada attraverso una ferita in cancrena. Una settimana. Poi, un’altra. Poi, una vita. Una inutilità oltraggiata dall’inedia.  

Sono nascosta al mondo dei sani e mi hanno separata da me. Una farsa che diventa realtà.

Perdona loro perché non sanno quello che fanno. Non è forse questo l’ammonimento che costringe l’umanità ad inginocchiarsi e redimersi?

 

 

IV^ SCENA

(il manicomio)

 

 

IL DOTTORE (voce fuori scena)

Signore! Respirate lentamente … Vogliamo immaginare di essere alberi? … Guardate ogni foglia. Ogni ramo. … Come se fosse la vostra casa … Il luogo più intimo che possedete. … Respirate lentamente. … Nella vostra casa siete protette … Nessuno vi minaccia … Respirate lentamente … Allegre! … Vi solleticano ali di passerotti … Allegre! 

 

VOCI INDISTINTE (fuori scena)

Io… io … sono l’albero … mangio le mie foglie e mangio anche te … sei buona, tu … saporita come un uccelletto …

Ho paura … ho paura … aiuto! … sto sotto le macerie, non respiro …

Gli alberi hanno preso fuoco … il fuoco … il fuoco …  i capelli sono inforcati … alla finestra …  prendono fuoco … brucio….  

Brucia! ... Brucia! … ti ho visto preparare il veleno che ogni notte usi muovendolo nell’aria …

Da bambina dirigevo la musica per le storie che sognavo … ma mi legavano … non trovo più la mia bacchetta … ma l’ho vista … è diventata un ramo … c’è un nido …

 

CAMILLE

Ha regalato un nuovo incubo. I pensieri tempestosi sono temibili intrusi.

Alcune ridevano immobili. La povera Odette si è terrorizzata. Urlava di liberarla dai pipistrelli che le si erano annidati nei capelli.

Al tramonto di un sole torvo le hanno tagliato i lunghi capelli corvini.

Nella camerata, alla luce intermittente di fioche lampade, eravamo tutte calve e piangenti. Tante Odette. Affrante  della stessa  sua disperazione,.

 

Vieni… Vieni …Odette.  Balla con me il valzer. … forza … forza… gira … gira … ruota … ruota … balla … balla  …

Oh! Come ti sta bene il candore della divisa. Da informe e ruvida diventa velata!

Non ho più la testa ... tu hai la testa. Ma, sì. Mia ballerina, hai in testa pipistrelli. Che volteggiano furiosi. Si ubriacano di luce … si ubriacano di luce … gira … gira … balla … balla … ridi … ridi … sogna … sogna …

Dormi! Dormi! Dormi!

 

 

V^ SCENA

(il manicomio)

 

 

CAMILLE

Arriva una nuova alba di giorni vuoti. Un nulla senza fine. Sono stanca. Sono vinta. Sono persa. Nel deserto della mia anima che si inaridisce. Crescono i germi del disgusto di me. Della inquietudine di essermi lasciata assassinare senza sapere opporre resistenza.

Nel silenzio che mi divora e opprime posso solo pensare ai miei lavori. A un nuovo valzer per Odette con i pipistrelli nei capelli fitti, decorati e fluttuanti.

Odette! Sei una nuova medusa. 

 

Quante versioni disperse e rubate. Sottratte, copiate abusate alla mia nuda innocenza. Un immondo desiderio di divorarmi, possedermi, annullarmi li accompagna.   

 

Paul non viene a trovarmi. Ai suoi occhi sono la personificazione del male. Se ne allontana alimentando le sue ossessioni del peccato.

Il suo atto di fede più potente è quello di aggrapparsi alle vesti dei santi. Con le sue rime li osanna. Non si accorge di non amarli ma di chiederne clemenze compiacendoli.

È un bieco rappresentante dei peccatori costretti alla perenne redenzione.

È un usurpatore vestito di stracci che si addobba delle stesse vesti del potere. Usando pennacchi e orazioni che brandisce anche nel sonno per paura di trovarsi disarmato alle lusinghe del peccato.

Un crociato tremante di lussuria. Che spaccia per estasi capace di illuminare il mondo. Di navigarlo e redimerlo.

 

Stasera gli scriverò!

Potrò mai ricucire quei fili? Che credevo forti come la seta. Capaci di traghettarci verso la libertà senza tradire noi stessi. La nostra anima unico bene da salvare?

Oh, Paul! Sei ancora il bambino curioso che mi seguiva? Passo. Passo.

Oh, Paul! Mio gemello. Mio allievo. Mio seguace.

Mi guardavi estasiato ogni volta che ti mostravo il lato perverso di un quadrato. Fatto di spigoli oppressi nelle linee dove tutti vogliono relegare le anime libere. trasfigurandole in mostruose anime pie. Un’opera missionaria perenne. Che sorge e risorge in nome degli usurpatori che vi si accampano. Costruendo sacchi di sabbia e fortini che lentamente isolano, controllano, uccidono, annientano.

Paul, dove sei? Mio caro ingeneroso. Mio caro inglorioso. Mio caro peccatore.

 

No! Strappo …cancello …

 

 

VI^ SCENA

(il manicomio)

 

 

L’INFERMIERE (voce fuori scena)

Signore! Signore!. … Prendiamo le medicine … Poi, si spengono le luci e tutte a dormire … Serene … Domani mattina andiamo a cogliere fiori nel giardino …

 

CAMILLE

Paul caro,

le mie giornate scorrono al pensiero di te. Mio fratello spirituale più che di sangue. Sono certa che, se tu volessi per un momento guardare alla mia condizione, lacrime irrefrenabili scorrerebbero sul tuo viso delicato, ieratico. Innocente, ai miei occhi amorevoli.

La mia condizione è immobile, statica. È la pazzia, costruita intorno alla mia povera esistenza, senza possibilità di appellarmi o ribellarmi.

 

Oh, Paul! Sei il mio pensiero segreto e costante.

Sei il pezzo di creta abbandonato alle intemperie. Sei un prodotto incompiuto alla deriva nelle piogge. Sei un santo malcelato che voglio disarmare. Sei il peccatore delle orazioni. Sei il menestrello dalle litanie. Sei il cantore che biasima il frastuono delle vergini.

Mi dedichi il viaggio dei santi o sei tra la folla nascosto ai tuoi specchi, che potrebbero restituirti un omino deforme e schiumoso?

La bellezza non è nel candore della tua vita irreprensibile. Nelle tue orazioni deformi. Nella tua conquistata vita spirituale.

 

Sei mio inesorabilmente nei tuoi versi. Li ho letti e sai che i misteri del vero peccato non mi sono ignoti.

Quello che sfugge a molti per me non ha segreti. Perché ho messo le mani nelle ingordigie. Nelle gelosie. Nei furti. Nelle falsità. Ma, sono casta. Sono pura. Sono la voce dissonante delle tempeste. Relegata nel chiuso vociante di un manicomio. Per alterare la storia. Per nascondere le onniscienze perverse degli accademici, dei falsi intelletti operosi nel cancellare le mie tracce. Attribuendole a qualche impudente magnificato, a qualche ipocrita disposto a vivere inchinato senza vergogna. 

 

Paul! Stanotte ti ho scritto sulla creta lacerandomi le unghie.

Non ho avuto il coraggio di inviarti le mie lettere furiose. Poco amorevoli. Dissociate dal nostro antico, intimo, fraseggio.

 

Mi è costato una punizione umiliante!

Ho inciso il sole. Per te! Con le ali e dardi fiammeggianti. Lo splendore ha squarciato il buio.

 

Nel silenzio ottuso della camerata la sorvegliante ha spiato il mio singulto. Il pianto e riso che si alternavano e accompagnavano la mia fatica di incidere. Urlavo e ansimavo.

 

Hanno deciso una seduta. Mi hanno imposto la mordacchia.

 

Ho visto tanti occhi. Tanti occhi sbarrati. Persi nella fissità del destino. Nei loro sguardi l’ineluttabile guizzo dell’agnello che sa del destino dei vinti. La verità della lama.

Tutta la notte ho seguito il gregge. Si avviava composto annusando la paura dell’altro belante. Dieci venti trenta un esercito. Ogni deviazione una verga a correggere il cammino.

Sarà questa fiducia nell’uomo che li perde.

Si accompagnano ai santi. Giacciono fiduciosi sulle loro sante spalle. Sicuri da ogni turbamento. Certi di aver scampato la morte fino alla prossima volta. Al prossimo cammino. Al prossimo cancello del mattatoio.

 

 

VII^ SCENA

(casa Rodin)

ROSE

Sei pallido.

 

AUGUSTE

Sono molto stanco.

Ho lavorato alla smerigliatura del “bacio”. I ragazzi non sono idonei alla levigatura. La debbo curare da solo.

 

ROSE

E Camille? Non ti aiuta la tua assistente preferita?

 

AUGUSTE

Rose non ricominciare. Ti ho detto che sono stanco. Sono anche ansioso per come si presenti alla fine. Temo che si dica “Rodin l’innovatore che è un copista dei classici”.

Camille?

Camille osserva e impara. Ma, per onestà, debbo dire che molte volte sono io che imparo da lei.

 

Sta preparando i modelli per dei multipli. Ti dirò Rose che ne vorrei essere l’autore. Vi imprime una fluidità che sembra strappata al flusso della vita.

 

ROSE

Rodin. Il grande Rodin che impara da un’assistente. E da me cosa impari? 

 

AUGUSTE

Ho imparato cosa sia la sicurezza. Il necessario lato oscuro dell’arte.

 

ROSE

Auguste … Il tuo bacio è più di una impressione, è la vita stessa.

 

AUGUSTE

Forse. Ma, la vita oggi mi stanca.

 

 

VIII^ SCENA

(il manicomio)

 

 

CAMILLE

Ho letto le tue rime. La tua redenzione è mendace.

Mi celebri. Canti la malia incantatrice che ci univa. Io e te pagani. Felici. Fiduciosi nella sorte

Le tue ferventi orazioni, Paul, sono l’incenso che spargi intorno alla tua libertà. Al desiderio struggente di liberarmi che soffochi nelle preghiere della dimenticanza.

 

PAUL (voce recitante fuori scena)  

“Se tu sapessi con quanto amore ti guardo mentre annaspi nel caos della vita”.

 

CAMILLE

Sono qui Paul! Sto annaspando! Vieni a liberarmi. 

 

PAUL (voce recitante fuori scena)  

“Se tu sapessi con quanto amore asciugo le tue lacrime”.

 

CAMILLE

Sono qui Paul! Vieni ad asciugare il mio volto rigato! Dalle sconfitte che mi vestono.

 

PAUL (voce recitante fuori scena)  

“Se tu sapessi con quanto amore ti prendo per mano affinché tu non cada”.

 

CAMILLE

Paul! Cado mille volte al giorno e mi rialzo dalle mie stazioni. Afferrando nel buio la tua mano.

 

PAUL (voce recitante fuori scena)  

“In ogni tuo sguardo prende vita il mio sorriso”.

 

CAMILLE

Il mio sguardo è fisso e attonito. È lo sguardo della morte, come  puoi prenderne  vita?

 

PAUL (voce recitante fuori scena)  

“Vorrei volare assieme a te! Forse un giorno lo faremo quando sarai consapevole della tua divinità”.

 

CAMILLE

Paul! Loro sanno la mia divinità. La nascondono agli occhi del mondo legandomi e umiliandomi. Fammi volare! Ti supplico Paul!

 

PAUL (voce recitante fuori scena)  

“Se tu sapessi ... che ti sono accanto sempre in ogni istante e maggiormente nei momenti difficili”.

 

CAMILLE

Paul! La mia vita è segregata contro il volere dei tuoi angeli. Parla loro di me! Portami il tuo esercito!

 

PAUL (voce recitante fuori scena)  

“Se solo sapessi quanto soffro insieme a te dell'amaro della vita”.

 

CAMILLE

Paul! Vieni a respirare con me il tanfo amaro! Della menzogna. Della ipocrisia medicamentosa.

Liberami dai carcerieri zelanti! 

Vieni ad accarezzarmi con mani di carne!

Non lasciare che usino l’inchiostro del mio sangue e la terra della mia carne.

 

 

IX^ SCENA

(casa Rodin)

 

 

AUGUSTE

Rose … Rose … Non lasciare che fantasmi deformi alberghino dentro il mio divino cosmo. Il piccolo regno. Il nostro nido. decorato di valori esposti alle folle della storia. Che glorifica con tributi ineccepibili.

 

ROSE

Sai che ho lacerato le sue carni?

 

AUGUSTE

Non voglio sapere!

 

ROSE

Devi sapere!

 

AUGUSTE

A che serve sapere?

 

ROSE

Voglio dirtelo.

Voglio una prova d’amore.

 

AUGUSTE

La prova è stare ancora insieme.

 

ROSE

No! La prova dell’amore è conoscere le nostre bassezze.

 

AUGUSTE

Non appassire la tua anima.

 

ROSE

Semmai, le nostre.

 

AUGUSTE

Rose! Restituisci la mia integrità.

 

ROSE

Le ho affondato il coltello nelle viscere.

Ho visto il rosso dilagare sul bozzetto.

Ho visto la concentrazione amorosa.

Ho visto la trepida attesa di mostrartelo.

 

AUGUSTE

Non è mai accaduto! La tua fantasia osa. Per sfidarmi.

 

ROSE

Ho affondato la lama nelle sue viscere.

Ho visto il suo sguardo attonito.

Ho visto il sangue colorare il bozzetto. 

 

AUGUSTE

Non rendere penosa la mia coscienza. In quel momento lavorava per me. Per la mia gloria. Per i miei titoli. Per i miei riconoscimenti.

Per me è un marchio. Ho succhiato la sua arte svuotando la sua essenza. Abusando del suo amore fiducioso e incondizionato.

Il mio abbraccio mortale la disarmava.

Lavoravo a saccheggiare la sua intimità. Ad attingere alla sua forza. Tormentandola con assalti patetici. Succhiandole la linfa come un vampiro all’agguato. Un vampiro lascivo e perverso. 

 

ROSE

Basta! Basta! Basta! La tua tardiva redenzione è ipocrita.

Lei ti possiede ancora!

La pietà è più potente dell’amore.

 

AUGUSTE

No! Non è pietà. Non ho la misericordia per deporre Camille dalla croce.    

 

 

X^ SCENA

(il manicomio)

 

 

CAMILLE 

Paul. Ho letto le tue rime. Ora so che non verrai.

Hai tanta paura del peccato. Della molteplicità. Della diversità peccaminosa. Dove si può nascondere la menomazione del castigo. Nell’insidia di un tenero amore fraterno e terreno che rimuovi o rinnovi, ad ogni ripensamento.

 

PAUL (voce recitante fuori scena)  

“Mi rimetto a te! Vergine madre, ti do la mia scarpina! Vergine madre custodisci nella tua mano il mio sciagurato piedino!

Ti avviso che fra poco non ti vedrò più e sto per fare tutto contro di te!.

Ma, quando tenterò di slanciarmi verso il male, sia con un piede zoppo!

E quando vorrò oltrepassare la barriera che hai eretto, sia con un’ala tarpata!

Ho terminato ciò che potevo fare, e tu custodisci la mia povera scarpina.

Serbala sul tuo cuore, o grande Mamma terribile!”.

 

CAMILLE

Paul! Tu non conosci il mondo dei miserabili. Quelli che nascondono le ricchezze e camminano con i loro piccoli scroti legati alla cintola. Nascosti alla ingordigia dei poveri.

Quei sacchetti sono fatti di viscere di artisti. Disprezzati, per metterci il minor prezzo che i mercanti hanno congiurato. Usurpandone la storia o esaltandoli per inventarsi una favola a lauto fine.

Il patto dei mercanti è il patto diabolico della fame e della pietanza.

Nei sacchetti affondano mani orlate di lordura e tirano fuori, con le unghie uncinate, una sola moneta.

La moneta della salvezza. Del pane rappreso. Elargito come trofeo della loro meschina magniloquenza. Che si degneranno di celebrare.

Paul! Le storie degli artisti sono storie contaminate che non verranno scritte dai reietti o dagli eletti. Ma, dai loro ossequiosi, fedeli, corrotti cortigiani.

 

Stanotte ho sognato aquiloni si stagliavano più bianchi della luna. Volteggiavano nella notte ansiosi di raggiungere il cosmo. Di oltrepassarlo.

 

Alle prime luci dell’alba ho rifiutato di calzare i piedi.

Ho gli occhi febbrili. La mia bocca è asciutta.

Due braccia forzute mi trascinano.

Sono percossa da respiri, sospiri e cantilene.

Nessun onore alla segregazione.

Nessun orpello alla gloria mistificante delle carte. Alle certezze accademiche. Alle ipocrisie dei dotti corrotti dalle discipline riconosciute e certificate.

Quanta studiata sapienza!

Il gesto di aprire il carteggio. La documentazione. Il tasso di pazzia. Il mio spirito inadeguato. La mia condizione. La incapacità a gestire le pulsioni violente. L’ardire peccaminoso che mi guida e sconvolge.

L’ordine umano confonde disciplina e verità. Abbassa il livello di ogni rivolta morale alla linea mediocre di un galleggiamento sicuro.

Il verdetto si ripete all’infinito.

 

Paul! Il tuo silenzio mi atterrisce!

Mi lasci in balia della sorte che uomini stolti scrivono nottetempo.

Ammetti! Il privilegio che mi è stato donato. L’ardore e la fierezza, che accompagnano il pensare e il fare delle mie opere, li ho sacrificati ad ogni desiderio superfluo.

Oggi sono costretta a scarnificarmi. Sacrificando la fiamma che mi tiene ancora in vita. Tacitando il mio cuore che si spezza nei ricordi.

Voglio tornare ad affrontare la materia. Sfidandone le resistenze con l’ondeggiare del movimento. Che narra una storia. Che sussurra una litania. Che esige una rappresentazione.

 

Oh, Dio! Ciò che ho realizzato si disperderà.

Non deve disperdersi!

Mani avide mi hanno affamata. Assetata. Umiliata. Resa implorante. Hanno violato la mia libertà.

Andranno a reclamare il corpo decapitato e smembrato. Sbranato e scomposto. Esigeranno un pezzo ciascuno  di quella carne sanguinolenta. Si ammanteranno della clemenza che sono disposti a tributare alle loro infamie. Certificandone la ineluttabilità.

 

VOCI (indistinte fuori scena)

Dove l’hai presa? … l’hai rubata a Camille …

Non toccarla …è mia! … hai capito? … è mia! …

Fammi vedere …

Non toccarla … è mia!…

Una pietra tutta nera … come quelle del giardino … non è tua … l’hai rubata a Camille …

Venite … venite … una bambina piccola piccola … in mano …

È la figlia di Camille …

No! Mia figlia è venuta a trovarmi stanotte ed ha avuto una bambina … mi ha detto “mamma la lascio a te per tenerti compagnia ” … la cullo ... non piange …

È una pietra nera …

No! è mia figlia … mia figlia … chiedilo a Camille … l’ha fatta Camille … per me! …

Tutte dobbiamo avere una figlia …

Camille! … Camille! … Camille! … Camille!  … Camille! … vogliamo una figlia! … vogliamo una figlia! … vogliamo una figlia!...

In giardino … andiamo in giardino a raccogliere le pietre …  

Camille! … Camille! … Camille! … Camille!  … Camille! … vogliamo una figlia! … vogliamo una figlia! … vogliamo una figlia!...

 

CAMILLE

Paul! Salva la mia opera!

 

 

XI^ SCENA

(casa Rodin)

 

 

ROSE

Auguste, oggi sono fiera di te. I tributi che ricevi ti conducono alla storia, alla immortalità

 

AUGUSTE

Sono triste e confuso.

 

ROSE

Non disprezzare gli onori.

 

AUGUSTE

Tu Rose sei al sicuro tra le mie braccia. Tu non devi disprezzare l’audacia. Non disprezzare la libertà.

 

ROSE 

Di Camille, vero? O dell’altra, che ora tieni al guinzaglio?

 

AUGUSTE

L’arte come la vita ha bisogno di amplessi. Non saprà mai se l’aratro violenta la terra o la nutre. 

 

ROSE

Mi stai dicendo che tutto è consentito alla tua potenza creativa. Che puoi traghettare la tua pubblica virtù da una riva all’altra, dissipando la mia vita.

 

AUGUSTE

No! Sto dicendo che a volte è doveroso bisbigliare. Ora ci diciamo bugie compassionevoli mentre adocchiamo soddisfatti la fila di mercanti e committenti.

 

ROSE 

Hai lavorato. Ti sei imposto.

 

AUGUSTE

Sì! Ho combattuto e tu sai quanto. Penso sia ora di andare a vedere quella casa che ti piace. A proposito dov’è. L’ho dimenticato.

Ah! Ho bisogno di un nuovo studio e debbo trovare una nuova fonderia.

 

ROSE 

Caro, ti vedo entusiasta ... Vivremo la nostra vita! … Cosa c’è? Cosa stai pensando? … Ti vedo, di nuovo, intristito.  

 

AUGUSTE

Ah, Rose! La vanità della gloria può distruggerci.

E … Camille?

Le sue mani traboccano di forza creativa. Che non conserva sé stessa, ma, si annienta nell’orgoglio della follia.

Il veneficio che l’ha inseguita e distrutta non redime ormai nessuno. Né me, nè te.

 

 

XII^ SCENA

(il manicomio)

 

 

CAMILLE

Mia madre non risponde. Non mi chiama a se. Non concede alcun alibi alla sua prigione rigorosa. Al muro inespugnabile delle sue ragioni.

Sì! Ho ignorato.

Come potevo sapere che potessero attingermi le tante parole di riprovazioni sussurrate. Poi, sputate nei consessi familiari intorno ai ceppi domestici.

La società benpensante odia chi supera gli argini. Chi scuote le sicurezze. Chi indica orizzonti.

Odia le vestali dell’ignoto che non arrossiscono.

So di essere stata arrogante nella mia libertà di raccontare i segni del corpo. Contorto e accovacciato nelle ingiurie. Disfatto dalla urgenza di sussurrare malefici e invocare malasorte.

Ho deriso la narrazione meschina della società. Ho decretato il mio destino.

 

Il vento e la pioggia disperderanno una montagna di gusci.

La notte del plenilunio, la notte d’amore dei coralli, sarà la mia notte.

La mia notte non avrà timori. Non sarà affamata. Non sarà oltraggiata. Non sarà piegata.

Oh, sì! Camminerò su un tappeto di fiori di ciliegio o di note musicali appuntate su un pentagramma invisibile.

I coralli, come la mia anima, si leveranno dalle barriere per affidarsi alle correnti.

Per inseminare altri mari. Altre terre. Altre madri.

 

Sono confusa in una fossa comune. Tra le correnti. Nel bianco dei coralli.

 

26 agosto 2018

 

 

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ultimo aggiornamento/pubblicazione il 10 gennaio 2019