ombre e polveri |
franchini - processioni |
ombre e polveri
se potessi tornare
se potessi tornare
mi farei ingravidare
un colpo di reni
da un pavido cuore
col coraggio di rischiare
se potessi tornare
potrei carezzare da madre
la madre smarrita
incapace di volare
se potessi tornare
berrei furiosa il mare
che non potei navigare
e il mistero del silenzio
a impastare a lievitare
a inventare le parole
il sapere arranca sull’anima
non siamo precettori
vorrei un colpo di reni
senza parole
che mi sapesse ingravidare
un pavido cuore
che scommette sul mare.
non spegnere la luce
se passi da queste parti
sai che è ardimentosa la luce
anche qui arriva la primavera
arriva con intenzione di nuovi germogli
che echeggiano dalla marea
mentre la vita scorre fragile
come una porosa bugia
percuote il tempo
e fa grazia dei sogni
la vita scorre tra pulviscoli
alle finestre nude
la vita scorre
ne senti miasmi e asprezze
come il ghepardo sente la gazzella
non spegnere la luce
se passi da queste parti.
moz-art
ho cantato mozart labbra su labbra
cercando risposte e sogni da mangiare
occhi negli occhi in falsetto
come un bisogno consolato
le tue mani sicure sui misteri
noi testimoni dell’amore curioso
singulti come un singhiozzo
dopo una coppa di champagne.
perdono e addio
un giorno e forse un altro pronuncerò un addio
mi allontanerò dalle zolle assolate
ricordando i rossori delle gelse umide
scosse dagli alberi a macchiare il lino bianco
sogni vinti di una giornata di mezza estate
un giorno o forse un altro camminerò sola
senza perdoni scontati senza averli decimati
nel calore di un abbraccio solo immaginato
un giorno o forse un altro pronuncerò ancora
un perdono che stagna sui bordi di un addio.
sulla tomba di tua madre
la mano sulle labbra
ricorda il suggello dei giuramenti
infantili e solenni
lieve soffio tra le dita per il bacio
lanciato alla sagoma
che grata lo riceve
e gli occhi mutano
già rassicurati dai turbamenti
vuoi che cinga la tua testa di alloro?
vero?
vuoi leggere nei miei occhi l'orgoglio
che ti è stato negato?
pura e intatta è la tua attesa
come esultanza dello spasimante
che attende di donare a chi ama
poi ti cospargi di cenere
e disonori il tuo ardore
quando l'ossequio ti giungerà
stanco ormai
andrai a deporre la corona di alloro
sulla tomba di tua madre.
gioco crudele
rinvengo tracce
innocenti dedicate
dimenticate come un bimbo
l’ultimo gioco
assonnata ti ho sussurrato
“sei improbabile
come una certezza”
sorridi e scivoli via
destino liquido
unico oltre me
al quale narro cattiverie
che invitano al sorriso
in un gioco feroce
come un acquario avverto
sottofondi del popolo
un enorme brusio
chi sa se lo sente anche dio
speranze parlate pregate
accecanti come graffi furiosi
prima di averle pensate
rammento parole non dette
avanti ogni suggestione
abbiamo procreato
da allora ti ho partorito mille volte.
amica mia nemica
amica mia nemica
dov’è la luce ambrata
e il sorriso ammaliante
che sfidava la vita
insolente?
la mia vita vissuta
il mio uomo catturato
la sconfitta di ieri
non più nel tuo sorriso smarrito
amica mia nemica
sguardi furtivi
rapivano i miei sogni
misuravano il mio tempo
hai pianto le mie lacrime
maledetto le mie stelle
rubato la mia insonnia
perso la mia partita
amica mia non più nemica
come stai?
mai più nemica
come stai?
calamita di ricordi
inseguo parole semplici
eliminate dalle calamite
attrattive dei ricordi
più che caldi riscaldati
la nonna aveva un patto
il giornalaio le consegnava
i testi delle ultime canzoni
sapeva che le avrei cantate
modulate interpretate cedendo
all’orgoglio nei suoi occhi
chiassosi erano quei tempi
ospiti zie e preti un andirivieni
e giocattoli usati desiderati
e giochi falsati da litigi
che ritrovi come radici
e tempi veloci da consumare
un soffio è stato come un sospiro
cerco quella bambina vestita di nuovo
che ricorda una per una le fantasie
stampate bianco su rosso verde e ciclamino
azzurro bianco e giallo di sole
un dipinto che attraversa i tempi
e si staglia nel nuovo colore
che odora di calce bianca.
versi odorosi
poeta!
dalla tua bocca
versi odorosi zampillano
liquame di resine macerate
e uva pressata
parli soave alla luna
femmina delle stagioni impure
frammisti sapori e condisci
latte e miele e arcobaleni
colori le memorie e gli inganni
la gramigna trasformi in muschio
poeta!
urli alla luna abbaiando nel pozzo
e le tue parole rendi zuccherine
dal tuo postribolo agognato
ora negato.
molluschi d'aria
tra venti divinatori
tra il dondolio delle ginestre
tremuli molluschi d’aria
il suono di parole colorate
che dedichi alle muse
arcobaleni in bianco e nero
come la memoria polverosa
della pellicola girata
vecchi film tra comparse
buffe dimenticate
con gli occhi al nuovo raccolto
postate nelle pieghe dei desideri
scavate nei colori del cuore
sangue dei sognatori
palmo su palmo
trattenuto a mani nude
per arrestare l’inesorabile anemia
nel dondolio delle ginestre
tremuli molluschi d’aria.
piccoli segnali
la casa era grande
senza anima
spogliata della sua identità
luci bianche
da commissariato di periferia
luce lunare
dove il sole non entrava mai
se non insinuandosi
in piccole fessure mattutine
scovate per sfidare
il buio da cattedrale
casa amata fino a spellarla
per trovarvi l’anima
piccoli segnali di antichi splendori
un segno un fregio un richiamo
una eco lontana
nel lungo corridoio
gocciolante e provvisorio
un disegno sul muro centrale
a rappresentare il dio della forza
e un altarino con oggetti minuti
antichi lacrimatoi
gioco d’acqua minuscolo
con segni di piccole mani invisibili
che prendevano corpo
il cuore della casa dove al buio
spendevano candele barbute e colorate
ringraziamenti di essere insieme
con altri abitanti della casa
con diritto di occupazione
una signora appare
una foto del tempo e la omaggiamo riverenti
per dormire tanti passi
a segnare anche la fatica del giaciglio
e per palcoscenico un baldacchino
di legno chiaro
in quel luogo respiri accompagnavano
sonni e sogni.
gioco crudele
ora giochiamo ognuno nasconde all’altro
il tradimento di un pensiero esigente
giochiamo il gioco crudele
di bambini tra loro crudeli
che si fingono solo svagati
’’se muoio voglio essere nudo
avvolto in un sudario’’
non volevi essere tra le tue opere?
allora aspetta aspetta ancora
non vuoi mica morire
con gli occhi azzurri aperti
confonderesti l’ennesima signora.
non posso più
non posso più parlarti ormai
come il vento che non soffia più
come la luce che non si rifrange
come pensieri congelati in freezer
come fiumi che non esplorano
abbandonando il letto di sassi
non posso più parlarti ormai
quello che dovevo ancora dirti
è racchiuso in argini di foglie marce
in lapidi che raccontano una tesi
un bignami di vita per un concorso
in un monologo rimaneggiato ad arte
in un dolore di universo finito nell’oblio
di una capanna di foglie di bambù
dove la luce è fittizia anche per le fate
apparecchiate per orchi dagli occhi di velluto
travestite delle beffe pensate dal destino
non posso parlarti più oramai
il tempo delle glorie e delle pene bagnate
dove il reticolo di parole era del ragno
dove si parlava di programmi variopinti
un luna park di riti e canzoni di sensi
dove ballavamo sul letto come bimbi
dove mi tenevi per mano con fermezza
come un sorvegliante di cuore infestato
da fantasmi di amori irrisolti nel brivido
del salto nel buio della notte da palazzi
illuminati di fantasie collaterali all’alba
il profumo di luce nascente che inebria
in un sogno infinito come i sogni della notte
sì non posso più parlarti oramai non è tempo
per i campi incolti e per le preghiere fragili
per il tempo delle fragole e per quelle d’invidia
macerate negli sguardi obliqui di streghe al soldo
del destino no non posso parlarti più oramai.
sopravvissuti
pallido imbiancato
con gli occhi colore cielo
che mi sembrano ora
come vetro soffiato
mi ha bisbigliato
“i miei quadri i miei scritti”
ma ora ri-siamo qui
sono piena di storie
dolori paure che è difficile
respirare nel loro vortice
cinque ore in pronto soccorso
una umanità dolorante
pulsante vitale
siamo tutti sopravvissuti.
gelatina
mi attraversano fulminanti nella loro perversione
si insinuano tremanti come una gelatina di fragole
non voglio assaporare la menzogna pietosa
vorrei già aver vissuto la notte dello scarabeo
accompagnata dal profumo di cedro che adoro
penso agli uomini che lasciano la buona volontà
bruciata nelle calorie obese negli incensi salvifici
nella dimenticanza dei pianti per i loro dolori
sterili della compiacenza per il prossimo respiro
nelle parole sfregiata dagli inganni da circo
ricordare il dono delle leggi nei giorni della
festa per una nuova rinnovata pentecoste.
un buon affare
debbo indossare abiti leggeri
per ondeggiare su campi minati
in mercati speziati
per visitare un simulacro
di arcobaleni di desideri
incontaminati di sangue lavato
debbo affittare un sorriso
stampato un post-it colorato
per domande vere
per risposte ormai dimenticate
debbo comprare oceani srotolati
una scorza di mandarino
fingendo un buon affare
debbo pescare nei ricordi
o almeno farli areare.
rumori caduti
le voci di fuori arrivano stracciate
urlate strascicate gutturali
e scorticate dal vento del mare
mormorii e rumori caduti filtrano
si insinuano dalle mura come umido
ogni tanto urla di ragazzini
attraversano il silenzio del vicolo
il gatto fulvo è scomparso
non passa giorno
che non pensi al suo sguardo da faraone
quale sorte sarà stata la sua
quale sorte da questa finestra sul cortile.
continenti
chi ci potrà testimoniare
chi potrà con cognizione di causa
parlare di noi veramente
di noi contro ogni prudenza
e dei continenti
ai quali volontariamente
ci siamo consegnate
autorizzando l’amore come
una abnegazione cieca
una resa incondizionata
un peso senza gravità
poi non ti accorgi
che perdi pezzettini di te
e di questi cadaverini
non hai celebrato
le funzioni dovute
i tuoi miraggi svaniti
con il ticchettio del tempo
il ventre che reclama
senza pretese
per colorare pelle su pelle
con rossi mille volte lavorati
tessuti di un orizzonte sfinito
dal coraggio ostinato
delle scelte scomode
coerenti e brucianti
poi continenti abbandonati
senza ricordi senza rimpianti
senza memorie scontate
senza celebrazioni
patrimoni lasciati mai pesati
in quei continenti.
la cerimonia
la cerimonia intima
ogni mattina
a scandire un tempo
che non ci appartiene
un luogo forestiero
il tempo dell’abitudine
ripetuta che equivale
alle certezze di attese
che coloriamo di sorriso
pensiamo alla vita
non ai suoi progetti
ti vesto un abbraccio
caldo da rassicurare
mentre i fantasmi discreti
ci lasciano tra i vapori
per un attimo arrossiscono
della nostra cerimonia.
qualcosa di eterno
una canzone che credi dimenticata
contiene tracce di memoria come l’acqua
la ascolti e la percepisci non con le parole
ma con quello che eri quando l’hai ascoltata
l’emozione di guardare il soffitto del cielo
la brezza che si sta levando dal mare
il brusio rassicurante in lontananza
nel buio come velluto blu tu sei anche altro
sei la preghiera dell’anacoreta celebrante
nel tempio della vita che somiglia molto da vicino
a qualcosa di eterno misurato in un attimo.
rifugio
la vita fatta di troppo
quando non hai niente
la vita dove ti tuffi
affrontando acque gelide
in cerca di rivelazioni
la vita delle corde
che ti esplodono nell’anima
in attesa del volo nuziale
qualcuno morirà nel volo
imperfetto non ancora amore
volo di attesa non più attesa
bisogna aspettare pazienti
la vita fatta di quello che serve
il rifugio segreto
resterà sempre inviolato.
affermo e nego
luce dei miei occhi limpidi si specchiano
un colore infinito ti arrende estenuato
un fiore di gelsomino sta tra i miei occhi
ora stazionano orpelli sulle facce livide
dalle tue labbra tepore di stelle sfibrate
combatto guerre con palline infuocate
i desideri stazionato e attendono viaggi
gli itinerari scontati di gotiche pretese
seguo le linee di colore e amo papaveri
fragili corolle nate da pulsioni affamate
lasciano rari pulviscoli di modeste follie
sei inebriato dal mio candore improbabile
sono rauca di voce impudente che parla
la luna attende un palco con abiti di scena
narcisi senza profumi ondeggiano oltraggiati
l’amore è crudele, mi veste di sogni stanchi
è crudele mi aspetta generoso ad ogni angolo.
di notte
cinque dita di animazione sul muro di un oceano
colori opalescenti si accalcano alla vista
velieri e cipree tumultano nel cuore
e le onde nascondono i luoghi dell’altrove
cinque dita di animazione sul muro di un oceano
piangono ghirlande di alghe sempreverdi
sulla bocca un ghigno da comico intristito
e la notte attira pensieri aguzzi che volteggiano
cinque dita di animazione sul muro di un oceano
e io posso disegnare graffiti immortali di vita compiuta
e andare sicura là dove comincia davvero l’infinito.
la mia anima
stanotte la mia anima zoppicava
l’ho vista urlare al disco livido
macchiato di vecchiezza
l’ho vista nell’oscurità compatta
tentare di tagliarne una fetta
di sbrinarne il tempo immoto
l’ho vista di fianco al mio letto
soffiarmi teneramente sugli occhi
era il tempo del tuo respiro.
il bimbo e il cardellino
ho esplorato
articoli coraggiosi di denuncia
ai quali un mi piace sostituisce
indignazione attenzione immaginazione
mi ronzano nella testa parole
parole di emozioni
la storia del bambino
che non mi è ancora uscita dai tasti
maltratta con crudeltà un cardellino ferito
scappato non si sa da dove
mi avvicino per accarezzarlo
da lui proviene un suono sordo come di tamburo
un cuore con battiti di leone
il bambino mi guarda stupito
sta considerando
tirargli le zampe bruciargli le ali
lanciarlo come una palla
“ha paura .. bisogna curarlo”
l’attesa degli amichetti
ai quali esibire il trofeo diventa
carezza non per il pubblico
napoli è miseria è teatro
è a volte il confino.
muro di un oceano
cinque dita di animazione sul muro di un oceano
colori opalescenti si accalcano alla vista
velieri e cipree tumultano nel cuore
e le onde nascondono i luoghi dell’altrove
cinque dita di animazione sul muro di un oceano
piangono ghirlande di alghe sempreverdi
sulla bocca un ghigno da comico intristito
e la notte attira pensieri aguzzi che volteggiano
cinque dita di animazione sul muro di un oceano
e io posso disegnare graffiti immortali di vita compiuta
e andare sicura là dove comincia davvero l’infinito.
cabala
vi rincorro tra le secrezioni di un sogno
ho letto in un testo un piccolo incubo vestito
l’ho trasformato nella cabala del giorno
e l’ardore di un vecchio che annusa
e sorride ai ricordi singhiozzando
e ne scrive consumando tasti mai sazio
tra un mistero e un prodigio zittisco
taccio mentre preparo fagotti
consumo litri di acqua gelata
ma è la tazza scheggiata che amo
un manico come le tazze antiche
dal profumo di orzo abbrustolito
gamba accavallata e compita
musica napoletana si leva dal vicolo
sorseggio tè alla menta sono in un deserto
altoparlanti intonano litanie
la vicina mi chiede di fumare
mi dice - signora bella - senza guardare
mi ruba qualcosa che non posso dire
taccio mentre preparo fagotti.
caffè, thé, henné
luccicano i miei pensieri arditi
ora che i sogni sono privati
passo da lush e sono nei sapori
nella oxford street e tanti odori
stuzzicanti come la passione
no non compro l’hennè
i capelli li farei anche blue
o arancio col sole sdraiato
una corona infiammata
e tante perline giù giù giù
una volta piangevo a comodo
andavo giù e risalivo di lato
e tutto era provvisorio
anche un sorriso amaro
adoro la carta stampata
vorrei restarvi per sempre
isolata accucciata appagata
sono furiosa come una cascata
e non parlo mai per puro caso
una battuta arguta mi commuove
magicamente il ballo rimestava
la polpa della vite da schiacciare
e riprendeva tumultuosa a fermentare
e ai passi sulla luna posso riandare
una parte di levità e canditi a volontà
potevo pensare e forse scappare
la voglia mi rimane ma mi devo spiazzare
il rigore si tempera o si scioglie
ora lo sguardo cieco è ossigenato
solo il coraggio serpeggia a braccia alzate
sono stata la mia amica fedele
implacabile e anche generosa
forse anche odiosa e poco virtuosa
cose pazzesche per calmare
il mio punto cardinale.
sono sola
sono sola
ogni pensiero quintali di foglie
frigolano e schioppettano
sono sola e il mio tormento
negli occhi di chi mi vede
irrimediabilmente avulsa
come un dente estratto
senza radici senza passaggi
senza corone senza bagagli
sono sola senza ingegni a calmarmi
sono sola senza sguardi curiosi
sono intrisa di miracoli
per il sol fatto di respirare
sono sola come quella foglia
e mi sento mille volte orfana
nella bufera il vento mi è nemico
come gli occhi che cerco
stupidamente cerco
perché non è più tempo
di geremiadi ma di sguardi vigili.
a mia madre
ancora un tepore
ti attraversa
e
la maschera fredda della signora
ora lavora
sulle pieghe della tua vita
domani
il mio cuore ti rincorreva
e
non potevo fermarlo
ho dovuto sostare
accettando un rimedio
lo sai tu
che
percorrevo chilometri
per spolverare le tue gote.
ancora noi
ancora noi in quattro finestre sul cielo
ancora noi alla vita regalata dagli spettri
ancora noi nella dimensione lucernaria
ancora noi coraggiosi dopo i venti di scilla
nelle case delle sante claudicanti di peccati
il rumore di corone strofinate come pietre
al rumore del battito scambiato per pulsione
dal cuore martoriato da desideri impellenti
alla virtù immaginata tra piaghe sanguinanti
prove di olocausto quotidiano dei dissidenti
mi è piaciuto diranno in coro ora siamo in pace.
i piedi sulla terra
le immagini scorrono su comunità scheletrite
in primo piano piedi fasciati di stracci sporchi
recuperati a chi tace per sempre e non reclama
l’andatura claudicante urla dolore di ulcere e geloni
gli occhi vuoti si perdono a rincorrere l’urgenza
di acqua calda per tacitare viscere gorgoglianti
l’immagine scorre su un uomo dal piede equino
passato alla storia per acclamate ignominie
claudicante tiranno che marchia comunità godendo
della stessa sciagura istigata dalla feroce perfidia
gioventù devastate mandate al macello con scarpe di cartone
qualcuno non è mai sazio di averi e potere
il tiranno in ogni tempo destinato al cappio con i piedi
pellegrini predicatori penitenti poveri e indigenti
i piedi parlano lo stesso linguaggio zoppicante
si torcono si piegano si piagano piangono gridano
i ricchi li coccolano li rivestono li massaggiano
sono cartina geografica di organi e simboli status sociali
i piedi dicono parlano di un lungo viaggio mi sussurrano
di camminate di corse di viaggi di affanni di fame
qualcuno mi ha preso letteralmente per i piedi
sto ancora in piedi sto ancora in piedi sui miei piedi
sto ancora in piedi sto con i miei poveri piedi
a calpestare terra feconda di nuova ebbrezza
è ora di tuffarsi tra esaltazioni di nuovi continenti
calpesto l’antico presente con occhi sbarrati
nascondo l’indignazione stordendola di emozioni
ascolto il poeta mai sazio di parole esalate
“ubriacatevi ubriacatevi, ubriacatevi sempre
di vino di poesia o di virtù come vi pare”
resta ancora di sempre la mia perversione
che l’ebbrezza non cessi mai poi mai la sua ragione.
trattengo un affanno
ti scruto di sottecchi
perso nelle tue nebbie
non vuoi che le attraversi
ora soffi per diradarle;
un sospiro ti attraversa
atti motori per distrarti
il saturnino è esausto
delle tue interrogazioni
trattengo un affanno
tra le mani lo nascondo
si annusano le ombre
congiunte nella notte.
solitudine
nessuno ha sollevato la sposa
nell’angusto rifugio strizzato
una pantofola in bilico
tra la carne e il tonfo
un panno sporco
cercando un pezzo di lievito
muffito nel tempo
pochi passi indecisi al freddo
che potrebbe zampillare sulla pelle
un istante e il nord lascia
il campo degli aquiloni
poveri cadaveri di uccelli
che cadono in picchiata
si gioca a punto e croce
un pensiero piatto poi il suo obliquo
per quella rete nera come pece
strappata dallo scalpo
sollevata e lanciata
come strage della innocenza
un gatto miagola bagnato.
finestre appannate
dolce è l’inverno che arriva dalle fessure
non sai cosa porterà fuori gelo e nebbia
nella stagione delle finestre appannate
sferzate dai venti
dormono i fermenti della vita
pensi alla prossima primavera
con i suoi certi inganni
l’orizzonte ora freme di desideri adulterini
la somma del giorno tra banalità e certezze
porta nel notturno sogni spregiudicati
ogni marea percorre oceani navigabili liberati
ogni lussuria è sigillata nel vano segreto
occhi dolci un pirata virtuoso al suo altare
lo veneri con occhi da cenerentola
apri le porte all’infinito inferno
chiudi gli occhi all’infinito paradiso
dormi i sonni maestosi delle vergini.
la vita è un mistero
"la vita è un mistero" mi dici
mentre un vago ricordo di me
di noi ti prende il cuore
parlo mentre il dolore è incuneato
e non racconta il tempo
ma lo smarrimento nel tempo
di vivere l’ovunque dei tuoi pensieri
hai ancora spigolature
memorie di un temperamento tenace
una coperta pesante
ingombrante nell’età che chiede
che non può concedere
un lusso giovane
"la vita è un mistero"
sussurri con un gemito
colmo di interrogativi pudori paure ricordi
così canto “ la prima volta che sono morto
non me ne sono neanche accorto
tu ridi distratta dalle angustie
con l'ilarità che si espandeva per la casa
depositando schegge di luce
sdrammatizzi sdrammatizzo
ma mi commuovo
forse la vita per te non è un mistero.
ultimo aggiornamento/pubblicazione 10 gennaio 2019